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Volkswagen, Daimler e Bmw sgasano in Germania contro i politici sulle auto elettriche

auto, Wolfgang Schäuble

Tra gli esperti tedeschi del settore automobilistico si parla già della “tempesta perfetta” nella quale è finita l’industria automobilistica nazionale. Messa sotto accusa per via dei software impiantati sui modelli diesel per misurare emissioni nocive più basse del reale, successivamente per aver operato per anni in una sorta di cartello occulto, dove i big del settore, Volkswagen, Daimler e BMW, si accordavano su innovazioni e tariffario, è ora sotto accusa per non aver saputo fiutare anzitempo il nuovo corso, cioè la crescente richiesta di vetture e di una mobilità sempre più eco-compatibili. In altre parole, per non aver accelerato lo studio, la progettazione e la produzione di nuovi modelli e di nuove forme di mobilità, del tipo car sharing, convinti come erano (e in parte ancora un po’ sono, che tanto il diesel avrà ancora lunga vita). E come se non bastasse già tutto questo, il governo uscente (ed è molto probabilmente anche l’entrante proseguirà in questa direzione) ha iniziato a prendere in seria considerazione il divieto di circolazione per tutti i modelli diesel, al di sotto dell’Euro 6. Sarebbero infatti 40 le città tedesche, prima tra tutte Stoccarda (la culla dell’automobile, qui nel 1886 Gottlieb Daimler e Carl Benz inventarono quasi contemporaneamente l’automobile, e qui la Daimler ha ancora la propria sede) che registrano da anni livelli di inquinamento al di sopra della norma

Non stupisce dunque che in questa campagna elettorale in Germania tutto sommato molto poco coinvolgente, il dibattito sul futuro dell’automobile sia diventato un tema di confronto e di scontro, tanto che lo stesso ha dominato domenica sera il faccia a faccia tra il ministro delle Finanze, il cristianodemocratico Wolfgang Schäuble (nella foto), e Cem Özdemir, uno dei leader dei Verdi, il partito ambientalista per eccellenza. L’intenzione era quella di sondare il terreno sulle affinità tra i due partiti dati anche come possibili partner di coalizione nel nuovo governo (sempre che i voti lo permettano).

Ma torniamo ai tormenti dell’industria automobilistica tedesca afflitta dall’“incubo californiano” come scrive Der Spiegel nel numero appena pubblicato. Mai il settore “si è ritrovato così pesantemente sotto pressione come ora”, si legge nel lungo articolo del settimanale. Sono sempre più numerosi, infatti, i Paesi che si stanno dando una dead line circa la fine dell’era della automobili a combustione. Gran Bretagna e Francia intendono vietarne la circolazione entro il 2040, la Norvegia addirittura entro il 2025. In Cina, dall’anno prossimo dovrebbe essere introdotta una quota minima di auto elettriche vendute in un anno. Il 60 per cento dei cinesi parrebbe peraltro non avverso all’idea di acquistare la prossima volta una vettura elettrica. La Germania ha, invece, stabilito come data il 2030 , ma con poca convinzione, sostengono Verdi e ambientalisti, anche perché Merkel si è sempre mostrata molto solidale con questa industria, non ultimo perché (secondo i dati di Statistika) nel 2016 ha dato lavoro a 808 mila persone.

Ma la gratitudine non pare essere un tratto distintivo dei vertici di questo settore, i quali, messi sempre più alle strette, danno ora la colpa del ritardo nella progettazione alla politica. Che senso ha, fanno notare, costruire macchine che si avvalgono di energia pulita, cioè macchine elettriche, quando il governo non si impegna a realizzare le infrastrutture, cioè le colonnine per la ricarica delle vetture. A Monaco per esempio ce ne sarebbero appena 50. “In Germania si parla spesso e volentieri della mobilità elettrica, peccato che i fatti siano molto meno” fa notare allo Spiegel Klaus Fröhlich membro del consiglio di amministrazione della BMW.

Ma sapendo che le lamentele a poco servono (e tenendo conto che l’accordo siglato a fine 2016 tra Daimler, Ford, BMW e VW, di voler congiuntamente installare in Europa 400 colonnine di ricarica veloce, è rimasto fino a ora lettera morta) i costruttori tedeschi si stanno armando per la battaglia. La Volkswagen ha costruito a Potsdam, non lontano da Berlino, un “Future Center”. Da questo laboratorio è uscito “Sedric”, una taxi-robot che nel corso del prossimo decennio si muoverà tra i centri urbani, senza guidatore. BMW, a sua volta, sta mettendo a punto un piano che prevede la ristrutturazione delle fabbriche e dei modelli, per poter in futuro dotare qualsiasi vettura sia di un motore a combustione che elettrico. Per il 2025 sono stati inoltre annunciati 25 nuovi modelli elettrici, il che implica uno sforzo economico di più di 10 miliardi di euro solo nelle sviluppo di motori eco-sostenibili.

Il tempo per questo esercizio di equilibrismo (che peraltro significa investire i profitti che si fanno con i vecchi modelli nello sviluppo di nuovi) è però poco, pena la perdita di importanti fette di mercato. Il concorrente che attualmente fa più paura non sta peraltro in casa propria ma oltreoceano, negli Usa e si chiama Tesla. Quest’industria, fondata nel 2003 “è riuscita lì, dove i tedeschi hanno miseramente fallito” scrive il Der Spiegel. “Cioè sviluppare un modello di macchina elettrica che piace e molti vogliono ora. Solo per il nuovo ‘Model 3’ l’azienda californiana ha in portafoglio 45 mila ordini”, e stando ai comunicati aziendali, se ne aggiungono quotidianamente 1800 di nuovi. Inoltre Tesla ha nel frattempo installato in giro per il mondo 6300 “supercharger”.

Il mercato tedesco fino a poco tempo fa si mostrava particolarmente restio a prendere in considerazione il marchio statunitense, ma le cose, anche per via ritardo dei produttori ‘indigeni’ stanno cambiando. Nei primi sei mesi di quest’anno Tesla ha venduto in Germania 2000 vetture, il doppio dell’anno scorso nello stesso periodo. La corsa, dunque, è iniziata.

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