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Come far fiorire le eccellenze nella scuola italiana

Valeria Fedeli

Il nuovo anno scolastico sta per iniziare, alunni e insegnanti sono pronti per progettare e vivere la nuova esperienza formativa che condurrà i giovani nel prossimo anno e in quelli successivi alla maturità, così chiamata in passato nel gergo comune, ma che nel tempo è diventata semplicemente diploma di scuola media superiore, per equiparare tutti i titoli di scuola media di secondo grado. La vecchia maturità liceale, classica o scientifica, è scomparsa dal lessico scolastico e non solo, con grande rammarico.

Gli studi liceali sono stati nel XIX e XX secolo importantissimi per la formazione della classe dirigente del Paese, che superata la fase critica della dittatura è riuscita a partorire e a far crescere la democrazia, allargando gli spazi di libertà degli italiani. La scuola, soprattutto il liceo, negli anni del dopoguerra, ma anche prima è stata protagonista nella costruzione della coscienza morale e civile degli italiani, attraverso la quale è stato possibile consolidare l’ideale di comunità nazionale. Sintesi di tale profondo sentimento fu il varo della Costituzione, approvata nel dicembre 1947 e tuttora in vita, a dispetto dei tanti ciarlatani che un giorno sì e l’altro pure avrebbero voglia di farne scempio.

La scuola dell’oggi, mutatis mutandis, non può smarrire la lezione del passato, impegnandosi esclusivamente a ragionare di accidenti: riduzione dei cicli scolastici per inserire più facilmente i giovani nel mondo del lavoro, il nevrotico esame delle cd “prove Invalsi”, la superficiale analisi del nuovo obbligo scolastico, questioni affrontate nei passati decenni, senza arrivare mai a una decisione finale che innalzasse l’indice della qualità scolastica.

È necessario discutere di paideia (cultura, educazione), di cosa insegnare e come insegnare, della differenza tra didattica e contenuti. L’alto ideale della paideia è stato la stella polare che ha orientato legislatori, intellettuali, educatori da sempre nella costruzione di una scuola che sapesse istruire non solo lavoratori, ma soprattutto educare cittadini. La formazione unitaria dell’uomo non è possibile se non nella dimensione della vita associata, della comunità, della polis, in cui l’individuo realizza la propria natura umana, fondamentalmente sociale e politica. In tal senso lo Stato che nella sua totalità ha un unico fine, l’educazione deve essere unica e per tutti. Non saranno in molti a pensarla in questo modo, perché il comune sentire è invece orientato a rilasciare il “diploma” di scuola superiore. Infatti, si moltiplicano spudoratamente le offerte di istituti privati per conseguire il titolo finale, senza neppure frequentare regolarmente i corsi canonici, in cambio di esborso di cifre ragguardevoli.

La comunità nazionale cresce se la scuola garantisce cultura, formazione, educazione globale e se non perde di vista l’importante obiettivo di svolgere con particolare scrupolo il suo compito più delicato, che non è solo quello di istruire ma di contribuire a formare la coscienza morale e civile dei ragazzi, affinché si sentano partecipi civilmente e moralmente della coscienza nazionale, funzionale alla costruzione della comunità nazionale. L’augurio che si può esprimere ai circa otto milioni di allievi, dai più piccini a quelli più grandi, ai quasi ottocentomila docenti, alle decine di migliaia di presidi e personale Ata è di riportare la scuola italiana ad essere all’avanguardia, competitiva, dove le eccellenze fioriscono, pur in presenza delle note carenze. L’auspicio resta sempre il ritorno della “vera scuola”.

 

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