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Come stroncare le mafiette nei concorsi per i prof. alle università? Ecco idee e ipotesi

Non un fulmine a ciel sereno, bensì un vicenda che scoperchia un malfunzionamento diffuso e noto ai più, in alcuni casi al limite o ben oltre la rilevanza penale. L’inchiesta della procura di Firenze sui professori di Diritto tributario della facoltà di Giurisprudenza dell’ateneo toscano ha acceso i riflettori mediatici sul mondo dell’università pubblica italiana: sulle sue storture e opacità, che raggiungono il suo punto massimo nei meccanismi di selezione e promozione dei professori. Nel mirino sono finiti in particolar modo i concorsi per accedere e progredire nella carriera accademica, a proposito dei quali c’è chi propone di modificarne il funzionamento e chi, invece, di eliminarli del tutto.

LA VERSIONE DI CANTONE

Tra i primi si può iscrivere certamente il presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione Raffaele Cantone che oggi – intervistato da Corrado Zunino su Repubblica (qui il link) – ha fatto il punto su quelle che, a suo dire, sono le principali emergenze della nostra università e ha avanzato una serie di proposte. Il suo giudizio di partenza, comunque, è duro: “Quello universitario è un mondo suscettibile e capace di grandi difese corporative. Il rapporto professionale padre-figlio, ricorrente di per sé, in facoltà è forte“. Come confermano pure i dossier che la stessa Anac ha aperto in questi anni a tal riguardo: “Ci segnalano conflitti di interesse che interverrebbero nelle scelte, nei giudizi, nelle promozioni“. Lo stesso quadro emerso pure dall’inchiesta di Firenze: “L’ordinanza cautelare mostra un sistema di controllo sui corsi universitari basato su logiche di appartenenza e mai sul merito. A tavolino si decideva chi doveva entrare e chi no“. Tra i problemi sollevati da Cantone pure quello degli incarichi professionali esterni e delle consulenze di cui molto spesso i docenti universitari beneficiano: “Tolgono tempo alla prima missione di un professore: la didattica. E spesso i conflitti di interesse nascono sulle consulenze esterne che rischiano di diventare l’attività più remunerativa“. Quanto ai concorsi la soluzione, secondo il presidente dell’Anac, non è eliminarli, ma organizzarli in modo diverso: “In ogni commissione, per un’abilitazione, per un concorso, dovrebbe entrare una personalità esterna al mondo accademico. Perché non immaginare uno scrittore a giudicare, insieme agli altri, una prova di Letteratura italiana? Un medico, un ingegnere e un avvocato nello loro discipline? Nessuno vuole sminuire il mondo accademico, ma la contaminazione è un valore“. Per evitare, insomma, che se le cantino e se la suonino da soli.

LA PROPOSTA DI RAFFAELLO LUPI

Un sì convinto al meccanismo dei concorsi pubblici è arrivato pure dal professore di Diritto tributario dell’Università di Roma Tor Vergata, Raffaello Lupi, per il quale il problema è soprattutto rappresentanto dalle modalità con cui vengono assegnati i giudizi da parte delle commissioni: troppo generiche e, quindi, difficilmente in grado di selezionare i migliori. “Troppo spesso leggiamo formule sfuggenti che potrebbero andare bene anche per un concorso di materie del tutto diverse, magari economia aziendale o storia moderna“, ha scritto il professore oggi in un intervento pubblicato dal Foglio. Nel quale, a tal proposito, sottolinea l’importanza – almeno teorica – del ruolo svolto dall’Anvur, l’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca. Di cui, però, dovrebbe essere rivisto in profondità il funzionamento: “Gli organi di vigilanza dovrebbero dirigersi a un controllo più di sostanza che di forma, delle autovalutazioni svolte dalle comunità scientifiche. Svolgere i controlli Anvur senza un’interlocuzione seria sui contenuti cone le comunità scientifiche rischia di agevolare i soggetti più spregiudicati nelle spartizioni accademiche, notoriamente furbi, e attenti ai formalismi, mentre gli altri pensano a studiare“.

LE IDEE DI LUIGI MARATTIN

Più tranchant, infine, l’opinione di Luigi Marattin, professore di Politica economica all’Università di Bologna e consigliere economico di Palazzo Chigi. In un post pubblicato ieri su Facebook Marattin ha delineato i contorni di una vera e propria cura da cavallo per l’università italiana. In primis ha proposto la “fuoriuscita degli Atenei dal regime di diritto amministrativo, e trasformazione in Fondazioni di diritto privato a capitale interamente (e orgogliosamente) pubblico“, con contestuale riforma dello status giuridico dei docenti. In secondo luogo, abolizione di fatto dei concorsi: ci vuole “libertà nel reclutamento, tanto con qualsiasi modalità di concorso (nazionale, locale, a sorteggio, abilitazione), se qualcuno vuole truccarla, ha ampiamente dimostrato di saperlo fare“. Per garantire, però, che vengano reclutati professori di qualità, Marattin ha lanciato un’altra idea: “Innalzamento graduale (dal circa 20% attuale) al 100% della quota di finanziamento statale attribuita sulla base della produzione scientifica, a cui affiancare indicatori della qualità (non quantità) di didattica“. In modo che l’assunzione di professori scarsamente competenti si ripercuota direttamente sulle casse dell’università. E, infine, “l’abolizione del valore legale del titolo di studio: gli Atenei devono competere sulla qualità della formazione che impartiscono, e non essere appiattiti da un pezzo di carta uguale per tutti“.

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