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Dobbiamo fidarci di Macron?

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Dobbiamo fidarci di Emmanuel Macron? La domanda sembra provocatoria all’indomani di un vertice in cui si è consumato uno scambio multiplo di interessi e di promesse: un patto azionario ricco di fantasia sui cantieri di St. Nazaire (il prestito dell’un per cento per dodici anni non l’avrebbe immaginato nemmeno Enrico Cuccia che pure era maestro in questi magheggi); lo sblocco della governance in Tim dove Vivendi avrà il suo amministratore delegato nelle vesti di Amos Genish (sono due società private ma politicamente sensibili come si sa); la riapertura del cantiere infinito Torino-Lione (lo stesso Macron lo aveva messo in discussione all’inizio dell’estate e adesso dice che era solo una pausa di riflessione); un nuovo slancio all’impegno industriale comune per lo spazio; infine la suggestiva idea di un “patto del Quirinale” simile al patto dell’Eliseo siglato con la Germania di Bonn nel 1963 (e che Macron vuole aggiornare e rafforzare), che manda in sollucchero i filo-francesi a Roma e i filo-italiani a Parigi (numerosi e influenti in entrambe le sponde).

L’idea di fondo è aprire molti cantieri (in senso materiale e ancor più figurato) con alcuni partner fondamentali e con “i Paesi pionieri”, per imprimere una spinta alla “rifondazione europea” l’obiettivo di più lungo termine evocato anche con Paolo Gentiloni il quale, nel suo ironico pragmatismo, ha fatto notare che di rifondazioni ne ha viste tante (e quasi tutte disastrose). L’Europa a velocità variabile s’accompagna, secondo Parigi, alla costruzione di alcuni campioni industriali sul modello Airbus. Quello dei treni nasce con l’accordo Siemens-Alstom (e vedremo chi comanderà in pratica). L’Airbus dei mari avverrà in due fasi, prima quella civile a guida italiana, poi quella militare a trazione francese (anche se la marina militare italiana non è affatto inferiore). Ma c’è all’orizzonte anche un Airbus delle telecomunicazioni e delle alte tecnologie che passa per l’agenzia europea per l’innovazione e attraverso la collaborazione di gruppi privati (la sfida a Netflix con Vivendi-Telecom-Mediaset è uno degli esempi e anche per questo il dossier ha una valenza strategica e politica).

Di carne al fuoco, dunque, ce n’è parecchia e solo gli sviluppi concreti nei prossimi mesi ci diranno come i fatti seguiranno alle parole. Perché di parole Macron ne ha dette tante anche negli ultimi giorni, un vero maestro di retorica, nel senso classico nonostante il suo amore per la modernità. Il discorso pronunciato alla Sorbona è un profluvio di idee e suggestioni che vola alto, ma scende parecchio in basso quando si tratta di toccare le questioni più concrete, soprattutto quella che può fare davvero da discrimine: la governance dell’area euro e l’integrazione fiscale. Qui il presidente francese si è allineato con le proposte di Jean-Claude Juncker: non ha citato l’idea più astratta (un presidente unico della commissione e del consiglio che risponda al Parlamento europeo), ma si è espresso per un ministro delle Finanze dotato di un bilancio unico. Non ha menzionato il fondo monetario europeo caro ai tedeschi. Ed è rimasto nel vago su tutto il resto.

Macron non ha fatto cifre (di quanto dovrà essere dotato questo bilancio) né è entrato nel merito sull’impiego dei fondi (investimenti come chiedono gli italiani o per gestire la rinegoziazione dei debiti pubblici come vogliono i tedeschi). Soprattutto non si sono sentite le parole care agli italiani: flessibilità, eurobond, allentamento del patto di stabilità. Ha parlato esplicitamente di mutualizzare i debiti, ma non quelli contratti prima dell’unione monetaria il che vuol dire che per l’Italia resterebbe fuori una quota pari a circa il 110% del prodotto lordo rispetto al 132% attuale. In ogni caso, è una ipotesi che era stata rifiutata da Wolfgang Schäuble e non è cedibile che venga accolta dal prossimo ministro delle finanze, con i tempi che corrono al Bundestag.

Può darsi che tutte le dimenticanze o le cautele del presidente francese siano dovute alla volontà di non creare difficoltà ad Angela Merkel in trattative per formare il nuovo esecutivo. Ma è anche vero che lo stesso Macron è sotto esame: il ministro dell’economia Bruno Le Maire ha presentato mercoledì la legge di bilancio per il 2018 con l’impegno di far scendere il disavanzo pubblico al 2,6% per uscire dalla proceduta d’infrazione. E già si scatenano le proteste che s’aggiungono a quelle contro la riforma del mercato del lavoro. Il governo e il parlamento terranno duro o cederanno alla piazza come hanno fatto molto spesso i politici francesi? E’ un test chiave per giudicare se Macron è consistente tanto quanto facondo. Una prova importante anche per capire se l’Italia, non solo la Germania, può fidarsi di lui.

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