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Equo compenso: ma è veramente equo?

A proposito dell’iniquo compenso. Ovvero la nemmeno velata richiesta del sistema ordinistico di recuperare un sistema di tariffe minime sotto il nuovo nome di “equo compenso”, cercando un appiglio (fragile) nella crisi e nelle asimmetrie esistenti tra professionisti e contraenti forti (PA, banche, grandi imprese, assicurazioni).

Di qui, nel percorso pre-elettorale che stiamo vivendo, il fiorire di proposte tese a ripristinare tale regime di tariffe, coinvolgendo magari anche le professioni associative della Legge 4/2013 per provare a trovare una copertura politica globale del problema. In realtà, il tema della remunerazione minima dei professionisti non esiste, perlomeno nelle modalità che vengono descritte dai fautori del provvedimento.

Senza essere troppo assertivi: le principali istituzioni internazionali (Fondo Monetario, OCSE, WTO, UE) da molti anni raccontano nelle loro analisi una cosa fondamentale: oltre a non tutelare i consumatori, l’esistenza di un livello minimo di retribuzione delle prestazioni professionali contribuisce ad abbassare il livello delle parcelle dei professionisti più deboli proprio nei confronti dei grandi contraenti.

E’ un fenomeno automatico: se prima dell’istituzione del livello minimo di retribuzione, il compenso che un professionista è in grado di “spuntare” nei confronti di un contraente più forte è “X”, cosa succede dopo l’entrata in vigore un parametro più basso “X meno Y” determinato in via preventiva da un meccanismo che ha la propria base in una norma di legge? Una cosa sola: il mercato dei contraenti più forti tende naturalmente a riposizionarsi sul livello più basso, sfruttando proprio la forte capacità contrattuale che possiede. E pauperizzando, come sempre, il professionista più debole.

Se poi il problema fosse solo (come dice qualcuno) quello di evitare che la PA faccia bandi che prevedono prestazioni gratuite o quasi basterebbe una qualsiasi norma che lo vietasse a priori. E, dall’altra parte, nessuno costringe i professionisti a lavorare gratis. Usciamo dagli equivoci: se c’è qualcuno che lo fa, è perché in realtà sta investendo su un soggetto più importante per acquisire curriculum e reputazione. Un esempio concreto? I social network e, in particolare, Linkedin e Twitter. Perché regaliamo gratis i nostri dati, i nostri curricula e tante ore della nostra attività a questi social in forma totalmente gratuita? Il paradigma è sempre lo stesso: se qualcuno ti da qualcosa gratis significa che la merce sei tu. Vale anche per i social network, la PA e le grandi imprese.

D’altra parte, nella corsa verso parametri di riferimento, molti dimenticano che da più di 12 anni l’Agenzia delle Entrate, attraverso studi di settore e SOSE, ha selezionato e formattato una serie di livelli minimi di prestazione e relativo compenso anche per i professionisti. Sempre strenuamente combatutti da tutti. Nessuno ha ipotizzato di usarli come basi dell’equo compenso. Come dire: quando si paga i livelli minimi non vanno bene e quando si incassa si? Da quest’anno non esistono più gli studi di settore. Vogliamo ripristinarli per legge?

E d’altra parte, ci chiediamo cosa pensi il MEF di un eventuale provvedimento “erga omnes” sull’equo compenso. Non dovrebbe il Ministero valutare l’impatto dell’entrata in vigore di parametri minimi nei rapporti tra professionisti e PA in termini di impatto sulla spesa pubblica? Anche perché l’effetto prevedibile è quello di un aumento della spesa per servizi professionali della PA stessa. Se avvenisse il contrario, ovvero una diminuzione della spesa pubblica, il problema non sarebbe per i bilanci statali ma per quelli privati dei professionisti.

E ci chiediamo cosa ne pensi l’Antitrust che, sulla base del mandato conferitole dalla 287/1990, è chiamata a verificare che eventuali livelli minimi di compenso non costruiscano ingiustificate rendite di posizione a favore dei cd. “incumbent” (i professionisti già presenti sul mercato con pacchetti di clienti consolidati) rispetto ai giovani professionisti che, come detto, possono offrire anche tecnologicamente una qualità di servizio paragonabile a costi molto più bassi, favorendo, in tal modo, i clienti/consumatori, grandi o piccoli che siano, attraverso il libero mercato della contrattazione tra le parti.

Ecco perché siamo fortemente contrari a qualsiasi ipotesi di normazione su tale argomento che verrà portata avanti dalle due Camere del Parlamento.

Una versione di questo articolo è stata pubblicata da “Il Sole 24 Ore” nell’edizione del 28 settembre 2017

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