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Evviva Harry Potter. Ecco perché

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Tutti noi cresciuti dopo la caduta del Muro di Berlino abbiamo desiderato ricevere il primo giorno di settembre la lettera di convocazione ad Hogwarts o poter evocare i nostri animali-guida contro i Mangiamorte al grido di Expecto Patronum.

Se il linguaggio è creazione di mondi, la saga di Harry Potter ha una propria grammatica costruita nella lingua dei sogni. È vivo finché i sogni sono vivi, più reali della realtà stessa.

Non credevamo a Zio Vernon – il “babbano” razionale che nega l’esistenza della magia. Sapevamo già che il mondo in cui viviamo è sempre meno una realtà univoca dai confini ben determinati e sempre più una rete complessa e articolata costituita dall’intreccio di diversi mondi, immaginari e reali.
Per dirla con il linguista George Lakoff: “Non si può affrontare la realtà del XXI Secolo con una mentalità del XVIII Secolo”.

Il miglior fantasy è scritto nella grammatica dei sogni. È vivo finché i sogni sono vivi, più reali che reali. La realtà è in bianco e nero, mentre il fantasy è argenteo e dorato. A Diagon Alley avremmo potuto gustare una speziata Burrobirra, nel mondo reale una semplice birra. La realtà è il tofu, le bacche di goji; il fantasy sa di miele e cannella. La realtà è volare con Ryanair, la fantasia vola sulla propria scopa mentre gioca a Quidditch.

Non è una fuga dalla realtà, con il rischio pericoloso di perdere l’essenziale delle cose. È piuttosto entrare in un multi-verso che, grazie all’utilizzo della fiction, si attualizza: un romanzo-mondo da attraversare nei suoi cunicoli e passaggi segreti. Un fenomeno pop che ha spinto Simone Regazzoni, docente presso l’Università di Pavia, a dialogare filosoficamente con i personaggi e le situazioni descritte da Harry Potter portando alle stampe “La filosofia di Harry Potter” per le edizioni Ponte alle Grazie.

Se in Hegel “la filosofia è il proprio tempo appreso con il pensiero”, Ragazzoni propone un esercizio filosofico di ricerca di temi focali della contemporaneità come il coraggio nel suo legame con l’atto etico, l’amore per la giustizia al di là della legge, il potere di fare cose con le parole, i limiti della ragione occidentale. Più un allenamento nella stanza delle necessità con l’esercito di Silente che una sistematica lezione di storia di difesa contro le arti oscure, ma che arriva a scomodare in un dialogo continuo maestri del pensiero filosofico che hanno “giocato” con la magia e l’esoterismo come Martin Heidegger, il “Mago di Messkirch”.

La saga di J.K. Rowling ha avuto un grande impatto nella società che viviamo: nel 2007, il Time la posizionò terza nella classifica delle persona dell’anno dopo Putin e Al Gore. La metanarrazione dei testi che raccontano delle storie di Harry, Ron ed Hermione ha suscitato perfino l’attenzione di Papa Benedetto XVI che ne ha criticato i tratti occulti e la mancanza di distinzione netta fra bene e male. Un’opera che la sua forza sembra destinata a reggere alla prova del tempo, come le torri del castello di Hogwarts.

Risuonano le parole di Stephen King: “Il mio pronostico è che reggerà alla prova del tempo e starà sugli scaffali dove vengono tenuti i migliori. Penso che Harry prenderà il suo posto assieme ad Alice, Huck, Frodo e Dorothy e che questa serie non sia qualcosa solo per un decennio ma per intere epoche”.

Dopotutto, vogliamo davvero che l’esistenza si riduca in un esercizio da contabili e da matematici chiusi nel loro studio?

 

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