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Dove il lavoro non riparte? Risposta a Marco Patucchi di La Repubblica

Ho letto recentemente un interessante articolo su “La Repubblica” del 4 settembre scorso a firma di Marco Patucchi dal titolo “Dove il lavoro non riparte”. Non so se volontariamente o meno il giornalista, a partire dal titolo, ci offre la fotografia di come erroneamente vengono letti i fenomeni economici e le conseguenze sull’occupazione; di come il sindacato sia incapace di essere “parte” dei processi di cambiamento; di come l’informazione sconta molto spesso l’ignoranza o la “cattiva” fonte o l’inadeguatezza rispetto ai temi trattati. Poco male se non fosse che “l’informazione” è ancora in grado di modificare le percezioni, gli stati d’animo, determinare il godimento o meno degli attori del nostro mondo, del mercato, dei servizi e cosi via. Tra i vari punti di discussione qualche riflessione è doverosa in relazione alle questioni degli “ammortizzatori sociali”.  Vorrei sottolineare che uno dei motivi del collasso del sistema precedente è proprio l’utilizzo improprio degli ammortizzatori sociali, utilizzo sostenuto proprio da coloro che oggi ne lamentano la mancanza! Occorre però interpretare la “mancanza”, poiché come confermato dal segretario confederale della UIL, pare che ci si dolga del fatto che essi non intervengono più in costanza di rapporto, ovvero mantenendo vivo un “finto” rapporto di lavoro!

Molto interessante questa prospettiva poiché ci fa comprendere come mai gli ammortizzatori sociali sono stati utilizzati fino ad oggi solo per coprire, da una parte, i reali dati della disoccupazione e, dall’altro, l’incapacità del sindacato di ragionare intorno al problema, ottenendo solamente una dilazione del tempo di uscita dal mercato del lavoro per i lavoratori “fintamente” ancora alle dipendenze di qualcuno.

Ma non dobbiamo stupirci.

Questo strano ragionamento, in realtà, coglie l’allarmante considerazione svolta in ordine alle vertenze in esame presso il Ministero: “le crisi aziendali prima erano legate solo all’andamento dell’economia, mentre adesso le ristrutturazioni, anche drastiche, interessano settori non colpiti dalle crisi o addirittura all’interno di aziende che fanno utili”. Oltre ad essere “allarmante” come dicevo pocanzi, questo modo di ragionare deve spaventare per primi i lavoratori! Immaginare che sia meglio lasciar andare avanti un’organizzazione fino a quando il problema diventa di “crisi” e gestire la crisi attraverso uno strumento che tutto fa tranne che risolverle, è pazzesco. La “buone” aziende devono leggere il futuro e cambiare la propria organizzazione e strategia per assicurare un futuro di lavoro e occupazione!

Qualcuno ha verificato quanti lavoratori in cassa integrazione sono poi tornati al lavoro presso l’azienda che ha utilizzato l’ammortizzatore sociale? Ma qual è l’augurio? Qual è la strategia sindacale? Se un’impresa non è in crisi non deve ragionare per il futuro per evitare di trovarsi poi in condizioni di crisi? Per poi accusare di mala gestione?

È davvero complicato cercare di capire il filo conduttore di tali critiche mosse alle aziende attente a ciò che deve essere fatto – seppure non simpatico – per garantire il futuro. Ma le risposte le troviamo poco dopo, dove il giornalista da atto di un’azienda che cerca una soluzione – in attesa di una ripresa del mercato – per evitare i licenziamenti, per evitare l’utilizzo improprio degli ammortizzatori sociali: diminuiamo fino a quando non si sarà ripreso l’orario di lavoro e percentualmente la retribuzione? Risposta, “quasi una provocazione per CGIL CISL e UIL che l’hanno rispedita al mittente”.

Bene, allora prepariamoci ad una nuova “crisi” che determinerà un esubero, un licenziamento collettivo, un utilizzo improprio degli ammortizzatori sociali e così saranno tutti contenti. Non capisco la strategia e filosofia sottesa e di tal modo di ragionare. E torniamo al titolo “dove il lavoro non riparte”, la trasformerei in una domanda alla quale daremo la seguente risposta: nella cultura del lavoro del nostro Paese.

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