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Quando il protezionismo peggiora l’istruzione

Poiché il protezionismo è tornato di moda (ammesso che abbia smesso davvero di esserlo) diventa interessante osservare le tante sfaccettature col quale il fenomeno dei dazi può impattare sulla struttura e l’organizzazione di una società. Si tende a pensare che in fondo proteggere i commerci sia affare che riguardi solo i produttori, o al limite i consumatori che, lo sappiano a meno, saranno chiamati a sostenere il sussidio daziario con una maggiore spesa per consumi. Ma se fosse solo questo il protezionismo potremmo rinchiuderlo nella scatola noiosa delle faccende economiche, che tanto appassionano gli specialisti almeno quanto lasciano indifferenti i comuni cittadini.

E tuttavia non è mai così. Un recente studio pubblicato dalla Banca di Francia osserva l’effetto del protezionismo su uno degli aspetti fondamentali delle nostre società: l’istruzione. “Il costo di lungo termine del protezionismo è difficile da valutare – scrivono gli autori – poiché solo pochi paesi sono tornati verso questa politica dopo un periodo di libero commercio. Uno dei paesi che l’ha fatto è stata a Francia, nel 1892, quando la Camera dei Deputati, incoraggiata dal presidente della commissione dogane Jules Méline, decise di rialzare bruscamente la tariffa sulle importazioni di cereali”.

Fra il 1830 e il 1890, ricordano gli autori, prese piede nel mondo quella che poi è stata chiamata la prima globalizzazione. Questa boom di scambi, incoraggiato dal grande sviluppo del traffico ferroviario finanziato con capitali europei,  ebbe un impatto notevole sul traffico di materie prime agricole. L’arrivo nei mercato del grano americano e argentino fece crollare i prezzi spingendo i governi europei ad adottare misure per proteggere i propri produttori. In Francia ciò accadde nel 1892. Fu approvata una tariffa sulle importazioni che pesava circa il 25% del costo del grano acquistato all’estero. La tariffa rimase in vigore fino all’inizio della Grande Guerra.

Lo “shock protezionistico”, come lo chiamano gli autori, arrivò in un momento nel quale lavorare in agricoltura non richiedeva particolari qualificazioni professionali. L’effetto dei dazi fu di aumentare il prezzo relativo del grano rispetto ai prodotti della manifattura, rendendo di conseguenza maggiormente attrattivo il settore primario, sia per i salari che per i profitti, rispetto all’industria. Ciò ha finito con l’avere un ritorno negativo sull’istruzione. Nessuno ha voglia di studiare la meccanica se può guadagnare di più conducendo un aratro. “Questo shock – scrivono – ha abbassato i livelli di istruzione e aumentato i tassi di natalità proporzionalmente alla quota di produzione cerealicola nell’impiego locale”. Osservazione interessante perché ci rivela un’altra conseguenza imprevista del protezionismo: l’aumento della natalità, che evidentemente viene osservato in correlazione col miglioramento delle condizioni economiche degli impiegati nel settore primario.

L’ipotesi sostenuta dagli autori è che la domanda di istruzione sia correlata positivamente col grado di progresso tecnologico. “Poiché all’epoca le fattorie non richiedevano livelli intensivi di conoscenze tecnologiche, il protezionismo ha abbassato il ritorno che si poteva ottenere da una migliore istruzione conducendo a una diminuzione dei tassi di scolarità. “Come conseguenza – scrivono – nel 1906 il 20% dei lavoratori agricoli era analfabeta a fronte del 10% dei lavoratori impiegati nella manifattura e i tassi di analfabetismo erano anche più elevati fra gli agricoltori autonomi”. La Francia aveva conosciuto uno sviluppo sostenuto dell’istruzione fra il 1830 e il 1860, e successivamente, dal 1867 anche grazie all’obbligo di fornire un’istruzione primaria anche alle donne. Le scuole passarono dalle 10 mila del 1830 alle 80 mila del 1880 e nel 1892 tutta la popolazione aveva ottenuto l’accesso all’istruzione. “Tuttavia – sottolineano – lo storico Antoine Prost nota che gli anni fra il 1886 e il 1896 furono un decennio perduto in termini di progresso dell’istruzione a causa del declino dei tassi di iscrizione nelle scuole. La nostra opinione è che ciò sia stato determinato dall’introduzione della tariffa sui cereali”, concludono. “Un corollario in questa caduta dell’istruzione fu un aumento dei tassi di fertilità, come prevede la teoria”.

La conclusione degli autori è che l’istruzione sia un processo reversibile, se si attivano politiche capaci di scoraggiarla. E il protezionismo sembra una di queste, se finisce col favorire attività che richiedono basse qualificazioni professionali. Rimane da chiedersi cosa succederebbe se i dazi volessero favorire settori ad alta qualificazione professionale e poi se davvero siano capaci di aumentare i tassi di fertilità, visto che viviamo società che invecchiano drasticamente. In questo caso qualcuno potrebbe trovarci pure dei vantaggi. A dispetto degli economisti francesi.

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