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Caro Luigi Di Maio, libero sindacato in libero Stato

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Le critiche di Luigi Di Maio ai sindacati meritano considerazione perché riflettono il sentimento di una parte significativa dell’opinione pubblica che l’emersione di qualche comportamento patologico potrebbe ulteriormente ampliare.

La Repubblica è sempre più fragile e i numerosi fattori di disgregazione autoctoni si combinano con le insicurezze generate dalle trasformazioni epocali che viviamo. Mettere al riparo i sindacati (anche da se stessi) è necessario quindi per sostenere la coesione sociale. Nonostante le resistenze al cambiamento che spesso esprimono, abbiamo bisogno della loro intermediazione e delle loro reti di servizi. Senza di essi, una grande somma di persone sole e ancor più insicure potrebbe essere facile preda di spregiudicati agitatori dando luogo a forme di nuovo luddismo.

D’altronde gli errori talora imputati ai sindacati, inclusa la pretesa di un potere di veto improprio, discendono dalla arrendevolezza e dagli opportunismi delle loro controparti, pubbliche e private. Se è vero poi che nella rivoluzione tecnologica in corso dobbiamo rovesciare la gerarchia delle fonti di regolazione del lavoro, privilegiando il contratto duttile rispetto alla legge di per sé rigida, abbiamo bisogno di soggetti negoziali collettivi. Sarebbe tuttavia paradossale se poi pretendessimo di irrigidire i contratti utilizzando la legge per regolare i sindacati e restringere i canali della contrattazione.

Il governo dei complessi cambiamenti nelle aziende, nei territori, nella stessa dimensione nazionale cui afferiscono i grandi sistemi di sicurezza sociale, richiede una pluralità di accordi quanto più flessibilmente adattati alle diverse circostanze. La legge ha il compito necessario di fissare i diritti inderogabili nel lavoro e di capacitare i corpi sociali garantendo solo una adeguata informazione al mercato circa la loro effettiva rappresentatività affinché in ogni libero negozio le parti siano reciprocamente consapevoli.

Ma Dio ci scampi da una sorta di attrazione nella sfera pubblica (e nella relativa giurisprudenza ) delle libere forme di autorganizzazione della società. La stessa gestione di funzioni di interesse pubblico come i patronati, i Caf o gli stessi fondi interprofessionali di formazione deve ancor più essere resa separata, attraverso adeguate barriere, dalle organizzazioni sociali che pure ne sono state promotrici. Libero sindacato in libero Stato, si potrebbe parafrasare per sottolineare la libertà di associazione e di contrattazione affidate alla regolazione civilistica e ai suoi presidi.

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