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Che cosa hanno detto May e Johnson alla convention dei Conservatori

Brexit
“Non voglio yes men“, ha detto la May alla vigilia del suo discorso. Quello che ha chiuso la conferenza annuale dei conservatori inglesi a Manchester. Forse mai come quest’anno la stampa ha dedicato tanta attenzione all’evento, anche se perlopiù catalizzata da Boris Johnson: il Segretario degli affari esteri più indisciplinato di sempre. Almeno così lo vogliono.
Una frase, quella della May, in una delle tante interviste rilasciate in questi giorni, che è stata in qualche modo una replica alla stampa che ha presentato il Tory come un partito in subbuglio. Come a dire, ‘il contraddittorio’ mi piace. E il riferimento è stato alla voce sicuramente più rumorosa dell’esecutivo, quella di BoJo. Ma è a quest’ultimo che Robert Hutton di Bloomberg Businessweek, riconosce, intanto, il merito di “far sentire bene i conservatori”. Ma più che di discordia, quel che è emerso dal Convention Centre di Manchester è stato soprattutto torpore. Almeno per i primi due giorni. E Boris Johnson, allora, si è messo a giocare il ruolo di mattatore, dimostrando che il palco è il suo posto, ma, soprattutto, l’innata capacità di mettere un po’ di pepe alla sfida – osteggiata – della Brexit.
Prima di salire sul palco per un discorso che avrebbe dovuto invogliare la May a ‘licenziarlo’, come ha suggerito Weber, e rendere manifesta la sua insofferenza nel Tory della May, come ha raccontato certa stampa, ha attraversato il corridoio tra il Midlands Hotel e la sala del convegno. Un breve percorso che BoJo ha trasformato in un tappeto rosso tra fotografi e giornalisti a caccia di titoloni. Ma quello che il segretario degli affari esteri a Manchester ha lasciato alla storia come il “ruggito del leone” è stato un discorso chiaro e concentrato, né provocatorio, né da leader in pectore. Entusiasmo ed ottimismo che hanno lasciato tutti in silenzio ad ascoltarlo.
Stilettate contro Corbyn e fedeltà al progetto May, di cui, ribadisce, condivide “ogni singola sillaba”. E’ lei che ha vinto. “Mai nessuno ha preso una così alta fetta di voti, abbiamo vinto noi non Corbyn”, ha aggiunto convinto com’è che il primo ministro porterà il Regno Unito a un grande accordo sulla Brexit. E poi le tasse da abbassare e l’elogio allo spirito di grandezza della ‘Global Britain‘: è qui la svolta che BoJo dà alla Convention di Manchester facendo dimenticare rese dei conti interne e il terrore che l’incapacità del Tory di lavare i panni sporchi in privato possa porta Corbyn diritto al numero 10 di Downing Street.
Farage si era augurato che “al congresso a Manchester il partito conservatore iniziasse a dire pubblicamente ciò che dice privatamente, cioè che (May) deve andarsene”, ma nessuno ha voluto mandare questo messaggio. Almeno pubblicamente.
Se c’è qualcuno, però, a cui la stampa non ha voluto dare spazio in nessun senso, è stato Jacob Rees-Mogg: l’ultraconservatore osannato alla Convention di Manchester e, in questi giorni, celebrato dai suoi per il ‘No deal’ e le ripetute frecciatine ai laburisti.  Ad ogni modo, dai discorsi di quanti hanno presenziato all’appuntamento annuale dei conservatori da domenica a mercoledì 4 ottobre, è emerso che ci sono vari ministri favorevoli a estendere il periodo di transizione fino alla fine del 2021. Tra questi, sicuramente il cancelliere dello scacchiere, Philip Hammond, il segretario agli Affari interni, Amber Rudd, e il vice primo ministro de facto Damian Green. In totale disaccordo, invece, Johnson, che ha dichiarato che il periodo di transizione – che inizierà a partire dall’uscita formale del paese dall’Ue a marzo 2019 – “deve durare due anni e non un secondo di più”.
La vera nota di colore dei quattro giorni di Manchester, però, è stata della May: a lei, giustamente, il compito di chiudere i lavori. Un discorso che non ha avuto niente a che fare con quello che aveva provato a pronosticare la stampa progressista. E così il primo ministro inglese, stretta, ma non troppo, in un semplice abito blu, ha mostrato ancora un volto nuovo ai suoi e al mondo intero. “Mi dispiace”, ha detto praticamente subito, assumendosi così la responsabilità di aver convocato il voto anticipato. Ma soprattutto scusandosi per come ha condotto la campagna elettorale, definita “troppo orchestrata, troppo presidenziale”. Parole non scontate e che arrivano a qualche mese di distanza dirette al cuore della sua gente in uno degli appuntamenti più importanti del partito. Parole ragionate, dunque. Niente di retorico, soprattutto quando, poi, ha ribadito la missione del Tory dal 2010 ad oggi: far uscire il Paese dalla “grande recessione dei laburisti“.
In un discorso dai toni più personali del solito, ammette di non essere brava a suscitare facilmente emozioni, eppure questa volta ci tiene a ricordare la sua storia personale: “Una nonna cameriera che tra i suoi discendenti conta tre professori e un primo ministro”. Metafora, in qualche modo, di una nazione che non deve accontentarsi ma restare grande proprio dopo la Brexit. E proprio sui negoziati con l’Unione europea per la Brexit, a Manchester, ammette la frustrazione che la prende spesso, ma anche il desiderio e la voglia di affrontarli con lo spirito giusto “sono fiduciosa che troveremo un accordo che funzioni per la Gran Bretagna e per l’Europa”.
Theresa May ha voluto, poi, confermare la difesa del liberismo economico. Una sorta di carezza agli inglesi angosciati dalle misure preconizzate da Corbyn: al suo “modello venezuelano” ha detto ‘no’.
Tra qualche colpo di tosse di troppo e una lettera di licenziamento consegnatale provocatoriamente da un contestatore, il primo ministro inglese ha, in un sol colpo, messo a tacere i commentini piccati di chi vuole solo disordini nel partito; chiesto scusa degli errori; fatto chiarezza sul futuro economico della Gran Bretagna; promesso che la Brexit si farà, e l’accordo con l’Ue li renderà contenti; promesso di investire nel sistema scolastico e sanitario del paese, e mostrato il suo lato emotivo. Non male.
Le conclusioni le ha lasciate alle ferite ancora aperte che il Paese ha rimediato nell’ultimo anno. Ha voluto lanciare, allora, una preghiera per le giovani vittime dell’attacco alla Manchester Arena e per tutti i morti causati dagli attentati terroristici che hanno colpito il Regno Unito. E sull’incendio di Londra ha promesso che “sarà fatta giustizia” e che mai più accadrà una tragedia del genere. “Sono qui per questo”, ha aggiunto. E rivolgendosi ancora una volta al suo partito ha voluto investirlo di una nuova missione, “rilanciare il sogno britannico“.
E’ così che la quattro di giorni di Manchester, la festa annuale dei conservatori inglesi, si è conclusa meglio di quanto fosse stato previsto. Prima di essere distorto dai vari giornalisti collettivi.
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