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Perché sto dalla parte del re nella contesa fra Madrid e Barcellona. Parla il prof. Stefano Ceccanti

Dopo pochi minuti dal discorso alla nazione del re Felipe VI sul referendum in Catalogna, abbiamo chiesto un commento al costituzionalista Stefano Ceccanti, professore di diritto pubblico comparato all’università “La Sapienza” di Roma. Ecco la sua conversazione con Formiche.net.

Professor Ceccanti, ieri il re non ha lasciato spazio a equivoci nel suo discorso sul referendum in Catalogna…

Il re ha tracciato una linea rossa: tutto si può fare, ma nel rispetto della Costituzione. Qui invece siamo in presenza di autorità catalane che hanno agito con una logica anti-costituzionale e vogliono fare una dichiarazione unilaterale di indipendenza. La conseguenza logica è la sospensione dell’autonomia regionale perché i dirigenti regionali non sono leali allo Stato democratico.

Ci saranno diverse polemiche perché non è stato fatto alcun accenno alle violenze della Guardia Civil…

Bisogna distinguere i piani. Il re ha fatto un intervento da capo dello Stato sulla frontiera tra la Costituzione e chi la mette in crisi. Un conto è verificare se vi sia stato un eccesso di legittima difesa da parte delle forze di polizia. Un altro conto è se una giunta regionale vuole distruggere la legalità costituzionale. La prima è una violazione della legge, la seconda della Costituzione.

L’ipotesi di una riforma costituzionale evapora con la dura condanna del re?

Di tutto questo si può ragionare, ma dopo aver ripristinato la legalità costituzionale e rimosso il governo catalano. Una riforma costituzionale è possibile, magari cambiando il Senato, o ragionando di più sull’autonomia finanziaria. Ma questo presuppone il proseguimento dell’esperienza dello Stato unitario spagnolo.

Qualora si apra una trattativa, eventuali concessioni a Barcellona non rischiano di risvegliare antiche tensioni con altre minoranze come i baschi?

I baschi hanno già un’altissima autonomia finanziaria, un trattamento di favore che non ha paragoni con quello catalano. Dobbiamo capire però la posta in gioco: le forze che sono al governo della Catalogna hanno preso i voti sulla promessa di una secessione, non giocano al rialzo per accontentarsi di qualcosa di meno.

Il discorso del re Felipe VI le ha ricordato quello di suo padre in occasione del tentato colpo di Stato del 1981 contro il colonnello Tejero?

Si, il re è intervenuto come intervenne lui: non per difendere una linea politica piuttosto che un’altra, ma perché c’è gente al di fuori della Costituzione che va fermata.

A giudicare dalle accuse di slealtà contro la Generalitat, il re sembra considerare il referendum alla stregua di un golpe.

Non si possono adottare soluzioni buoniste. Il governo regionale indipendentista della Catalogna ha una linea chiarissima. Ha fatto due leggi concatenate fra di loro. La prima sul referendum: l’art. 4.4 prevede che, dal momento in cui vengono resi pubblici i risultati, si fa una dichiarazione unilaterale di indipendenza.

E la seconda?

La seconda è la legge di transitorietà, che prevede una nuova Costituzione provvisoria e la rottura di tutti i legami con la Spagna. Non c’è più l’euro, non si applicano più le leggi spagnole pro futuro, ma solo quelle presenti se compatibili con la Costituzione transitoria, non si rispettano più le autorità giudiziarie e politiche spagnole. I catalani non chiedono più autonomia, vogliono fondare con la forza un nuovo ordine contro la Costituzione del 1978. Abbandonano lo stato di diritto ed entrano in quello della forza.

Cosa succederà allo scadere delle 48 ore dall’annuncio dei risultati?

È ragionevole pensare la proclamazione dei risultati accada tra domani e dopodomani, e che la dichiarazione arrivi per il fine settimana. Sempre che le istituzioni centrali non giochino d’anticipo e non sospendano prima il governo catalano.

Facendo scattare l’articolo 155 della Costituzione, con cui il Senato può privare la Catalogna della sua autonomia?

I Populares e i Ciudadanos vogliono applicare l’art. 155: si sostituisce il governo catalano con un governo provvisorio, che può sciogliere il parlamento catalano e indire nuove elezioni. Se i rappresentanti delle istituzioni continuano lo scontro frontale evidentemente verranno arrestati. Altrimenti si può pensare a un intervento della Corte, perché hanno violato le sue sentenze.

Che possibilità ci sono di una mozione di sfiducia costruttiva contro Rajoy?

Nessuna, quella è un’idea balzana proposta da Podemos. Nel voto di questa mozione i secessionisti della Catalogna sarebbero determinanti per cambiare il premier in Spagna. È qualcosa che i socialisti non potrebbero mai accettare, Sanchez non andrebbe mai al governo col favore dei secessionisti.

Quali forze politiche parteciperebbero a un governo provvisorio in Catalogna?

In Catalogna c’è un arco di forze politiche che è contrario all’indipendenza: parliamo di metà del parlamento catalano. Ci sono i Socialisti, i Populares, i Ciudadanos e anche Podemos su una posizione ambigua: erano a favore del referendum, ma sono contro la secessione.

Cosa rimane dei rapporti con Bruxelles se la Catalogna proclama l’indipendenza?

Se un domani i catalani facessero una secessione non potrebbero restare nell’Unione Europea, né aderirvi in un secondo momento. L’UE è un club di Stati sovrani, compreso la Spagna, e per i Trattati se un nuovo Stato vuole aderire deve avere l’unanimità degli Stati che già ci sono. Gli indipendentisti hanno finora difeso una posizione che non esiste, promettendo di restare in Europa all’indomani della secessione.

Che errori hanno commesso Rajoy e il suo partito nell’escalation delle tensioni con Barcellona?

Gli errori sono difetti di cultura politica a monte. Il Partito Popolare è un partito centralista e non si è preoccupato di completare il disegno di uno Stato regionale. Un partito derivato dall’evoluzione di un’alleanza popolare, che era la formazione più legata al cuore del franchismo, adattatasi alla democrazia mantenendo i suoi elementi costitutivi fra cui il centralismo.

È questo il gap che divide i Popolari dal partito di Convergenza e Unione?

I nazionalisti e moderati di Convergenza e Unione hanno dato il loro appoggio esterno ai governi dei Popolari, quindi tutta questa distanza quando ragionavano in termini pragmatici non c’era. Convergenza e Unione ha radicalizzato le sue posizioni dopo lo scandalo per corruzione del suo fondatore Pujol. A quel punto per rifarsi una verginità è finita nelle braccia del partito estremista Esquerra Republicana de Catalunya. Ma Pujol con i governi dei popolari andava perfettamente d’accordo: li appoggiava a Madrid nel governo nazionale e in cambio riceveva l’appoggio nei governi regionali.

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