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Cara Bce, sugli Npl serve un’azione equa e graduale

Di Mariano Sommella
npl, Bce

L’azione della Banca Centrale Europea (Bce), nell’attività di Supervisione Bancaria da quando è entrata in vigore nel novembre 2014, sembrerebbe focalizzata principalmente nel monitoraggio del rischio creditizio dedicando – almeno questa è la percezione – poche energie al controllo del rischio di mercato – derivati e titoli tossici – presente nelle banche europee.

La Bce si è finora concentrata nella richiesta di continui rafforzamenti del livello di patrimonializzazione delle banche a fronte perlopiù dei rischi rivenienti dall’erogazione dei prestiti prevalentemente alle imprese, ciò nella convinzione che il sistema creditizio e le banche che in esso operano si preservi dal rischio di insolvenza principalmente con abbondanti dotazioni di capitale, circostanza quest’ultima che aumenta la fiducia degli stakeholder.

Bene, la politica potrebbe essere efficace se ci trovassimo in un contesto di tassi di interesse alti e di imprese bancarie redditizie ma, ahimè, la realtà è differente. Come noto, non solo in Italia e in Europa ma a livello globale il mercato finanziario e monetario si caratterizza per politiche monetarie con bassi tassi di interesse. Tali connotazioni sui risultati economici delle banche – faccio riferimento in particolare a quelle italiane – hanno determinato una riduzione dei margini di interesse e dei profitti. Ne è conseguito un ROE (Return on Equity) basso che, oltre a non giovare ad un processo di autocapitalizzazione delle stesse, ha reso, altresì, non agevole il reperimento di risorse di capitali sul mercato (ROE notevolmente inferiore al costo del capitale). Pertanto, in uno scenario di redditività molto esigua – se non nulla – diventa oltremodo difficile mettere in atto, a volte nel giro di poco tempo, la politica dettata dalla Bce finalizzata ad un progressivo rafforzamento del capitale delle banche cosiddetto CET1 (Common Equity Tier 1).

L’impressione è che sotto il profilo teorico si può condividere la politica perseguita ma, essa non appare al momento del tutto realistica; inoltre, detto approccio potrebbe comportare una distorsione delle regole della concorrenza bancaria nella misura in cui la Bce persista, come sembrerebbe stia facendo, nella richiesta aggiuntiva principalmente di capitale o di ulteriori accantonamenti a fronte del rischio creditizio danneggiando maggiormente quei sistemi bancari basati su un modello di business tradizionale come, ad esempio, quello italiano.

In aggiunta l’intervento afferente agli NPLs (Non Performing Loans) di prossima emanazione avente un particolare focus nel prevedere accantonamenti fissi annuali sulla categoria dei crediti deteriorati – 7 anni di vita per quelli garantiti e solo 2 o 3 anni per i non garantiti – comporterà ulteriori costi per le banche a fronte dell’iscrizione in bilancio degli NPLs al valore pari allo zero una volta scaduti i predetti termini.

Ciò detto, la Bce ha previsto, in una prima fase, “indicazioni quantitative” solo a fronte dei nuovi flussi di NPLs per poi, nel giro di poco tempo (primo trimestre 2018), intervenire anche sugli stock. Prevedere comunque, a regime, il totale azzeramento in 7 anni delle sofferenze e degli UTP (Unlikely to Pay) garantiti merita delle riflessioni in quanto penalizza maggiormente le banche italiane. Infatti, in Italia la percentuale di NPLs garantiti (garanzie reali e personali) è di circa il 67% ed è maggiore rispetto a quella europea, con tassi di recupero in media del 50/55% e con tempi medi di incasso pari a 5 anni; pertanto, svalutare completamente gli NPLs in 7 anni, oltre a non tener conto di quanto mediamente ed effettivamente le banche italiane incassano sugli NPLs, è particolarmente penalizzante sui bilanci delle stesse tenuto conto dei volumi in questione. In merito agli effetti il Presidente dell’ABI Antonio Patuelli ha definito il provvedimento in argomento come “un terremoto normativo che deve, invece, finire perché altrimenti realizzerebbe una stretta ai prestiti innanzitutto alle piccole e medie imprese”.

In via generale in tema di accantonamenti a fronte dei potenziali rischi cui le banche sono soggette fa sorgere un dubbio: ovvero se non sia il caso che la Bce preveda, quanto prima, “aspettative quantitative” anche sui derivati e sugli asset di livello 2 e 3 perlopiù concentrati nei bilanci delle Banche operanti nel nord Europa.

Sicuramente è condivisibile l’importanza di diminuire il peso degli NPLs nei bilanci delle Banche europee ma ciò dovrebbe avvenire con gradualità. Una strada consiste nella cessione sul mercato degli NPLs ma questo si connota per la presenza di pochi operatori esterni/esteri – Fondi perlopiù non italiani – specializzati nel settore. Occorrerà avere un mercato più spesso che veda anche delle opportunità per delle soluzioni di gestione “in house” da parte delle banche interessate. Accelerare un’immissione enorme di quantità di crediti deteriorati sul mercato, senza un’appropriata attività propedeutica di preparazione del “terreno di gioco” potrebbe avere come conseguenza quella di gravare con maggiori perdite i bilanci delle banche italiane che, già di per sé, non brillano in redditività. Infine, attribuire il business solo a pochi player in grado al momento di intervenire, oltre a comportare l’istituzione di un regime di oligopolio potrebbe essere foriero anche di altre tipologie di rischio (ad esempio il corretto fair value dei crediti ceduti).

Su questi scenari, consolidati e altri in via di attuazione, si vorrebbero effettuare due considerazioni:

1) Per quanto attiene alla prima, solo da poco tempo in Italia e in Europa si registrano segnali di una ripresa economica – peraltro non nella stessa misura all’interno dell’area – che chiaramente necessita di un periodo di consolidamento per il quale un ruolo essenziale è svolto dall’industria bancaria attraverso il sostegno finanziario all’economia reale. Pertanto, sarebbe opportuno partire agevolando il predetto sostegno alla ripresa economica che avrà come conseguenza, verosimilmente nel giro di poco tempo, una riduzione degli NPLs e non viceversa, ovvero perseguendo una massiva ed incessante azione sulle banche. Probabilmente le due soluzioni possono coesistere se la Bce entrasse in un percorso di maggiore gradualità nell’azione e che le diverse peculiarità al momento presenti nei paesi che partecipano all’Unione Bancaria giocassero un ruolo più importante nelle scelte adottate. In particolare, è opportuno dare adeguato risalto alle differenze presenti tra i paesi europei per il ciclo economico e per i tempi di recupero dei crediti nei tribunali.

2) La seconda concerne poi la copiosa regolamentazione prudenziale che la Bce impartisce alle Banche cosiddette “significant”; al riguardo, sarebbe opportuno non solo approfondire e rendere noti i costi/benefici che il sistema bancario sostiene per essere compliant ma, altresì, prevedere, una volta entrata in vigore la norma, un adeguato lasso di tempo in modo che le Banche possano consapevolmente e progressivamente adeguare i propri processi e la propria governance (ad esempio la nuova normativa sul Fit & Proper).

Un periodo di pausa o di sensibile riduzione della produzione normativa unito ad una maggiore attenzione alle peculiarità dei singoli paesi facenti parte dell’Unione Bancaria, potrebbe andare a beneficio di una valutazione equilibrata e realistica a tutto tondo: dell’azione finora esercitata, di quella da porre in essere e dei risultati finora raggiunti.

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