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Perché Turchia e Russia temono il gas del Kurdistan

RECEP TAYYP ERDOGAN MINISTRO TURCO

Lo scorso 4 ottobre l’Ayatollah Ali Khamenei, dopo aver incontrato Erdogan, nelle sue dichiarazioni avrebbe spinto sulla necessità di intraprendere serie misure contro il voto: secondo il leader religioso il voto “rappresenta un tradimento verso l’intera regione e una minaccia per il suo stesso futuro”. Ha accusato inoltre gli Stati Uniti di voler creare un “nuovo caso Israele” in Medio Oriente. Rouhani a sua volta ha ribadito che cambiamenti di confini non saranno accettati in nessuna circostanza.

Il Presidente turco, invece, a fine settembre, aveva prima minacciato di “chiudere il rubinetto”, riferendosi al fatto che l’olio curdo arriva a Ceyhan (in Turchia), per poi accusare in ottobre, lo stato di Israele di aver supportato il referendum anche attraverso i suoi apparati di intelligence. Israele ha declinato le accuse ma la sua posizione è favorevole al referendum.

Putin ha mantenuto una reazione neutrale, come anche riportato dal Financial Times, dichiarando in generale le buone relazioni tra Russia e il popolo curdo e ribadendo la necessità di essere cauti riguardo eventuali fermate delle esportazioni, per il forte impatto che potrebbe avere sul prezzo del petrolio. Si tratta chiaramente di un messaggio rivolto alla Turchia di Erdogan.

Non dobbiamo dimenticare che la Russia ha crescenti interessi in KRG (Governo Regionale del Kurdistan-Iraq) tramite Rosneft: a giugno un accordo preliminare per l’estensione della linea che porta olio a Ceyhan (aumento di capacità da 700 000 a 1 milione di barili al giorno); a settembre un altro accordo, stavolta per realizzare il primo gasdotto curdo/ turco. Da aggiungere il supporto finanziario fornito da Rosneft negli ultimi anni in cambio di crudo (poi raffinato principalmente nelle sue raffinerie tedesche).

Dall’incontro tra leader turco e iraniano, è emerso un dettaglio importante: l’annuncio di una futura crescita degli accordi economici bilaterali e soprattutto lato gas: l’Iran è pronto a mandare più gas in Turchia. E aggiungiamo con la Total in pole position per sviluppare il gas iraniano del mega giacimento South Pars.
Più o meno nelle stesse ore, a Mosca, avveniva l’incontro tra Re Salman con lo Zar Putin. Un incontro che lo stesso Putin ha definito “storico” essendo la prima volta a Mosca per un re saudita.

Il Kurdistan Iracheno intanto ha continuato ad esportare: il sito Tanker Trakers ha stimato una produzione media sotto i 700 000 barili al giorno (tra 25 settembre e 3 ottobre) con destinazioni Croazia, Italia, Israele, Polonia. Negli incontri tra Putin e Sauditi tra i vari accordi è emerso la volontà dei Sauditi di comprare LNG russo e acquisire una stecca nei progetti LNG in artico, molto a cuore a Putin, che cerca, anche se un po’ in ritardo a causa delle sanzioni, di acquisire posizioni nel mercato LNG in forte espansione.

Torniamo sulla Turchia. Uno studio del 2016 del think thank OIES indicava una potenzialità di esportazione di gas del KRG verso il territorio turco di circa 10 miliardi di metri cubi (bcm) annui, quasi pari a quanto previsto dalla fornitura in arrivo da Azerbaijan attraverso il Corridoio Sud (in costruzione). La Turchia riceve gas da Russia, Iran, Azerbaijan, da produzione interna ed LNG.

La recente analisi del think tank IAI evidenzia quanto la Turchia sia dipendente dal gas russo (circa 55 %) e che il gas azero del Southern Gas Corridor, una volta concluso, sarebbe il 28 % della domanda (del 2016).

Il Gas Curdo sarebbe un doppio colpo per quanto concerne:

1 – La riduzione dalla dipendenza russa
2 – Le ambizioni turche di essere un gas hub

Dall’altro lato “chiudere il rubinetto” (come fa notare in un articolo il webzine Al Monitor) vorrebbe significare per la Turchia:

1 – perdere introiti da transito (deve ancora recuperare un miliardo di dollari dal KRG)
2 – spendere per manutenzione (per preservare la linea)
3 – mancati introiti dello scambio commerciale Turchia/KRG (i curdi comprano prodotti turchi)

Per la Russia la chiusura del rubinetto sarebbe un brutto colpo da digerire: se già nel 2015 si è mostrata lungimirante per l’aereo abbattuto in Siria, non è detto che reagisca allo stesso modo “toccandogli il portafoglio”.

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