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Come la battaglia di Kirkuk condiziona i mercati del petrolio

Le forze irachene si riappropiano di Kirkuk e delle sue enormi risorse petrolifere. L’esercito di Baghdad si è ripreso subito il grande giacimento petrolifero di Baba Gurgur. Dalla città contesa provengono 600 mila barili al giorno, tre quarti del greggio di tutto il Kurdistan. Senza Baba Gurgur le casse curde saranno presto vuote e una volta tanto non è retorica parlare di una guerra del petrolio che coinvolge curdi, iracheni, Iran, compagnie russe e americane e i mercati dell’energia dell’Europa.

Kirkuk che da sola fornisce il 15% di tutte le riserve petrolifere irachene, greggio che si estrae a scarsissime profondità, a basso costo e ancora profittevole anche con gli attuali prezzi del barile. Nel 2014 l’esercito iracheno fu sbaragliato dalle forze dell’Isis e a salvare la città dagli uomini di Al Baghdadi furono i combattenti pashmerga. Da allora Kirkuk è di fatto dei curdi iracheni che gestiscono i contratti petroliferi attraverso negoziati condotti in autonomia in aperto contrasto con il governo federale di Baghdad.

Come ha scritto Julian Lee (già analista del Centre for Global Energy Studies), sul mercato del petrolio lo scontro con l’Iran del presidente Trump è solo una distrazione da un problema molto più serio. Gli scontri per Kirkuk potrebbero avere un impatto molto più pesante e molto più rapido sui prezzi del greggio. C’è a rischio la produzione di 120 mila barili al giorno di petrolio del Kurdistan iracheno estratto dai pozzi sotto il controllo dei curdi ma rivendicati dal governo iracheno. Altri 60 mila barili vengono prodotti dalla compagnia di stato irachena. C’è poi il problema dell’oleodotto Kirkuk-Ceyhan, grazie al quale Erbil esporta il proprio petrolio sui mercati internazionali. Se la Turchia dovesse decidere di chiudere la conduttura, le ripercussioni sul mercato del petrolio potrebbero essere molto serie visto che il Kurdistan iracheno esporta 565.000 barili di greggio al giorno, cioè la stessa quantità del Qatar.

Secondo Bloomberg il Kurdistan ha esportato attraverso la Turchia 160 milioni di barili Circa un terzo di questo petrolio è prodotto da investitori stranieri come DNO ASA, Genel Energy Plc e Gulf Keystone Petroleum, Gazprom e Chevron. Alla vigilia del referendum con cui i curdi hanno sancito l’indipendenza da Baghdad è stato perfezionato un accordo la compagna petrolifera russa Rosneft per la costruzione di un gasdotto fino in Turchia che dovrà rifornire anche i mercati europei.

Alla luce di quanto detto fino a qui, è chiaro che il Kurdistan è in una situazione di vulnerabilità. Dipende fortemente dai ricavi derivanti dalle esportazioni di petrolio che a loro volta dipendono totalmente dal transito attraverso la Turchia. Non esiste un altro percorso alternativo per far arrivare il greggio curdo ai mercati internazionali in una quantità che abbia un peso stimabile sul mercato internazionale.

Se le esportazioni del Kurdistan iracheno dovessero bloccarsi del tutto, l’effetto si sentirebbe anche sugli altri mercati del petrolio. Le raffinerie dell’area del Mediterraneo potrebbero trovare difficoltà a sostituire in tempi brevi il greggio curdo e questo potrebbe causare una diminuzione delle scorte.

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