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Il Pil è un ferrovecchio, allarghiamo lo sguardo

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Qualche giorno fa, sul Corriere della Sera, Federico Fubini ha descritto con intelligenza lo stato di salute del nostro continente. Ha raccontato la crisi politico-istituzionale, prima ancora che economica, che investe molte nazioni e che sta generando un collasso del contesto europeo. Dalla Brexit al caos spagnolo, dal voto tedesco (e austriaco) al lungo stallo italiano sulla legge elettorale. La politica appare immobile e Fubini, con le parole dell’ex segretario di Stato Usa, John Foster Dulles, ha sostenuto la necessità di un’azione, quasi a prescindere, che scuota il presente.

In un simile scenario i tradizionali indicatori macroeconomici sembrano essere sempre meno in grado di descrivere i movimenti più profondi delle società. Con una provocazione potremmo affermare che Pil è un ferrovecchio, una misura arbitraria tra le tante che abbiamo finito tutti per utilizzare come termometro dell’economia.

Da Bob Kennedy al Prodotto della felicità di Obama, fino alla proposta di qualche giorno fa di Legambiente di calcolare il PIB, il Prodotto interno della bicicletta, con valutazioni che vanno oltre i parametri tradizionali, il tema dell’efficacia del Pil ricorre periodicamente. È chiaro che esiste un bisogno di definire in maniera più aggiornata cosa sia il benessere, come si misura e come si raggiunge. Magari adottando un orizzonte di senso e temporale più ampio.

Se dalla macroeconomia passiamo alla micro, possiamo trovare soluzioni interessanti a questo problema.

Alcune imprese stanno infatti proponendo, negli ultimi anni, nuovi schemi con cui misurare il proprio valore. Addirittura, in alcuni casi, lasciando da parte il risultato immediato, a vantaggio della costruzione di un futuro radioso. È il caso di alcune start-up tecnologiche di successo che esortano a guardare alla solidità dei progetti e ai nuovi bisogni espressi dai clienti che queste aziende intuiscono e finiscono per intercettare, osservando tutto ciò da una prospettiva inedita. In questo senso va letta la tenacia con cui i fondatori di aziende come Google ed Amazon hanno difeso le proprie creature dal profitto immediato e forsennato. Lo scrissero con chiarezza Sergey Brin e Larry Page in vista della quotazione di Google a Wall Street: “troppo spesso le pressioni esterne spingono le aziende a sacrificare opportunità di lungo termine per soddisfare le aspettative trimestrali del mercato”.

Molte grandi società tecnologiche condividono questa impostazione. E forse dovremmo tutti osservare un simile approccio con maggiore attenzione. Rappresenta un modo di presentarsi agli azionisti e al mercato con uno sguardo che fugge l’ossessione dei quarter e dei risultati da portare alla comunità finanziaria, senza tuttavia sottrarsi a un’analisi serrata della solidità dei business plan. La verità è che queste aziende pensano in primo luogo ai bisogni dei clienti e spesso persino alla creazione di nuove opportunità e di soluzioni mai esplorate, nemmeno dai clienti stessi.

La strada che conduce al successo è una strada lunga e faticosa. Ma il modello che propongono queste start-up guarda al benessere e, in definitiva, al mercato e ai clienti, molto di più dell’eccesso di hic et nunc che angustia tanti altri. Non si tratta di disinteresse del presente, né di distanza dal paradigma della velocità che caratterizza il presente. La realizzazione della propria missione è l’obiettivo non negoziabile rispetto a qualunque esigenza di breve termine in contrasto con la missione stessa.

Un simile modello è anche un modello per la politica.

Politica che traduce l’ossessione delle trimestrali in ossessione per il consenso immediato, in scadenze elettorali ravvicinate, nel mid term perenne. Un approccio che mette in discussione alla radice il capitale già scarso di fiducia sociale di molte comunità. Pensiamo al nostro paese: un atteggiamento simile erode le riserve di ottimismo e sterilizza la speranza. Perché non rappresenta le scelte e non le colloca in un quadro temporale onesto, ampio, di prospettiva. Sembra si rincorra sempre l’iper attualità, l’emergenza. Questo ghiaccio sottile è un terreno sul quale non v’è crescita.

Per fortuna anche la politica esprime modelli che vanno in controtendenza. È il caso della Germania che, dopo elezioni politiche traumatiche, ha fatto di necessità virtù e ci propone un processo politico diverso. Un partito, l’SPD, che era al governo, ha dichiarato di voler passare all’opposizione per fare un bagno di umiltà. Per tornare a svolgere la propria funzione politica. La Cancelliera Angela Merkel si è data 2 mesi per formare il nuovo governo. Un lasso tempo enorme in politica. Eppure, come abbiamo appena visto, non inusuale nel mondo delle imprese più innovative.

Gli indicatori di consenso nell’immediato penalizzeranno la Merkel, ma è un investimento che mira alla stabilità, a un governo solido.

Lo sguardo di chi si comporta così è uno sguardo al benessere sostanziale. Non al proverbiale lungo periodo di Keynes, in cui saremo tutti morti, ma a un orizzonte meno frenetico. Più attento, più equo. Adottarlo farebbe bene a molti: istituzioni e imprese.

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