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Come e perché Matteo Renzi ha sbagliato sulla Banca d’Italia

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La vicenda Banca d’Italia non riguarda solo l’autonomia dell’Istituto. Investe il rapporto fra governo e i partiti e le prerogative del presidente della Repubblica. Questioni delicate da non sottovalutare.

La legge 262 del 2005 fissa una procedura precisa per la nomina del governatore della Banca d’Italia: il presidente del Consiglio propone un nome al Consiglio Superiore della Banca e, se esso è d’accordo, lo sottopone al Consiglio dei Ministri e prepara un decreto di nomina che il capo dello Stato firma se lo condivide. In questa procedura non è previsto un ruolo né per il Parlamento, né tantomeno per le segreterie dei partiti. Se gli orientamenti del Parlamento e dei partiti fossero determinanti vi sarebbe una precisa violazione di legge.

Una prima confusione è nata in Parlamento; ma il vero problema è nato dalle dichiarazioni successive del segretario del Pd. Martedì, il Parlamento ha discusso alcune mozioni sulla Banca d’Italia nell’imminenza della scadenza del governatore. Questo è legittimo perché il Parlamento, come ha ribadito in questi giorni la presidente della Camera, ha poteri di controllo e di indirizzo che può esercitare quando e come ritiene.

Tre di queste mozioni giudicavano negativamente l’attività di Vigilanza svolta dalla Banca d’Italia in questi anni e concludevano che il governo non dovesse proporre la conferma dell’attuale Governatore. Erano manifestazioni del potere di controllo del Parlamento. Esse sono state respinte, come del resto era avvenuto una settimana prima in Senato.

Dopo di che, è stata approvata una quarta risoluzione, presentata dal Pd, che si riferiva ai compiti della vigilanza e si concludeva con l’invito al governo a nominare in Banca d’Italia “la figura più idonea a garantire una nuova fiducia nell’Istituto”. Si trattava di una tipica mozione di indirizzo che non conteneva – né poteva contenere – alcuna indicazione vincolante per il governo circa la persona del governatore. Oltretutto, avendo il Parlamento appena istituito una Commissione di inchiesta sulle banche, la risoluzione affrontava sciattamente una questione che sarà oggetto dei lavori della Commissione.

L’episodio, grave, sarebbe stato in sé limitato se non vi fossero state le successive dichiarazioni del segretario del Pd il quale ha affermato che,  in sostanza, la mozione approvata doveva essere considerata come un invito esplicito al governo, della cui maggioranza il Pd è la componente principale, a non confermare l’attuale governatore.

Questo cambia la natura del problema. E prospetta una violazione delle procedure di legge e una invasione nelle competenze di altri organi dello Stato, ivi inclusa la presidenza della Repubblica.

A questo tentativo deve opporsi in primis l’attuale governatore che a questo punto ha l’obbligo, non per sé ma per la Banca d’Italia, di rendersi disponibile alla conferma. Questo aiuterà in modo decisivo il presidente del Consiglio Gentiloni a fare quello che ha dichiarato, cioè a difendere la autonomia della Banca d’Italia.

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