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Perché Barcellona non ha il diritto di staccarsi da Madrid. Parla il prof Cherubini (Luiss)

Tra i convinti sostenitori dell’indipendenza catalana in via di proclamazione, c’è chi difende la causa appellandosi al mantra del cosiddetto diritto all'”autodeterminazione dei popoli”. Ma davvero, rebus sic stantibus, la Catalogna può giustificare una secessione dallo Stato spagnolo? È una domanda cui solo il diritto internazionale può rispondere in modo univoco. Per questo abbiamo contattato Francesco Cherubini, professore di diritto dell’Unione Europea alla Luiss. Ecco la sua conversazione con Formiche.net:

Professor Cherubini, esiste un diritto alla secessione cui la Catalogna possa appellarsi?

No, non esiste. Il diritto internazionale è estremamente rigido, perché tende a conservare la sovranità degli stati. Ci sono ipotesi molto tassative, e sono quelle legate al cosiddetto principio di autodeterminazione. Il diritto di secedere o accorparsi a un altro Stato spetta alle popolazioni in soli tre casi: quando il governo centrale pratica una politica di apartheid, quando la popolazione sia sottoposta al dominio straniero o ad una dominazione coloniale. Sono poi previste alcune facilitazioni.

Quali?

Ad esempio, lo Stato che interviene in aiuto della popolazione che lotta per l’indipendenza normalmente viola il diritto internazionale, ma non in questo caso. Ci sono poi altre eccezioni circa lo ius in bello, il diritto di rappresentanza, il diritto a concludere accordi internazionali.

La Catalogna rientra in una delle fattispecie previste?

No, siamo completamente fuori portata. Non siamo di fronte né a una politica di apartheid, né a una dominazione coloniale, né a una dominazione straniera. Certo, alcuni dei diritti già riconosciuti alla regione potrebbero essere ampliati, nulla lo vieta. Ma è discusso che questi diritti siano stati violati nei confronti della popolazione curda, difficile che lo siano per gli abitanti della Catalogna.

Ci sono analogie fra i sommovimenti di Barcellona e il referendum dei curdi iracheni?

Non vedo molte analogie. Per i curdi l’unica ipotesi è quella di chiedere l’indipendenza da una dominazione straniera, ma sarebbe una forzatura ritenere che i curdi siano vittime della dominazione turca nel proprio territorio, che peraltro si estende in Iraq, in Siria e anche in Iran.

E con la dichiarazione di indipendenza del Kosovo nel 2008?

Anche lì era difficile riconoscere un’ipotesi di autodeterminazione. Tale principio nel diritto internazionale si è sviluppato principalmente in base alla Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli del 1981 e alla prassi dell’Assemblea Generale dell’ONU per i casi di colonialismo.

Come riuscì ad affermarsi un principio del genere con l’assenso dei paesi colonialisti?

C’è un motivo: man mano che nuovi Stati sono divenuti indipendenti nel periodo della decolonizzazione, è aumentata la loro rappresentanza in Assemblea, e hanno potuto così avanzare proposte a favore dell’autodeterminazione dei popoli. Alla fine si trovò un compromesso: il principio cardine rimase il rispetto della sovranità territoriale, con le tre eccezioni citate.

Ora che il referendum ha avuto esito positivo, la Catalogna annuncerà la dichiarazione di indipendenza. Che effetti avrà?

Dal punto di vista del diritto internazionale è priva di effetti. La dichiarazione di indipendenza non è infatti uno degli elementi costitutivi della soggettività di uno Stato, che sono solo due. Il primo è un elemento formale: l’originarietà dell’ordinamento, altrimenti chiamato, impropriamente, indipendenza. Il secondo è il principio di effettività, ovvero il controllo effettivo e incontestato del territorio.

Cosa succede se alcuni Stati stranieri riconoscono il nuovo Stato della Catalogna?

Nel diritto internazionale il riconoscimento ha effetti puramente declaratori: non produce alcun effetto sulla soggettività di un ente. Si può avere il riconoscimento anche di 50 Stati, ma è inutile se mancano i due elementi fondamentali. In questo caso si potrebbe produrre un effetto inverso: siccome non siamo di fronte a un’ipotesi di autodeterminazione, gli Stati che riconoscessero la Catalogna si renderebbero protagonisti del cosiddetto “riconoscimento prematuro”. Il che significherebbe un’aperta ingerenza negli affari interni della Spagna.

Quali saranno secondo lei i prossimi passi di Madrid?

Lo Stato centrale cercherà di riprendere tale controllo. Ciò avrebbe senso dal punto di vista del diritto internazionale, ma comporterebbe un grave aumento della conflittualità. Rimettere in moto quella che sarebbe a tutti gli effetti una guerra civile è una mossa molto azzardata. Se facessero invece delle concessioni, potrebbe crearsi un effetto domino, anche all’estero, su altre realtà con una forte autonomia culturale e linguistica. Sarebbe un precedente pericoloso per la stessa Unione Europea.

A proposito di UE, cosa pensa del comunicato di Donald Tusk a favore di Rajoy?

È perfettamente logico. La mia sensazione è che l’UE tema che il meccanismo di secessione venga utilizzato per bypassare la membership dell’UE stessa, cioè per uscire dall’Unione senza rientrarvi. Ovviamente l’UE sta dalla parte del governo centrale perché teme una fuga della Catalogna. Madrid ha commesso un errore nell’uso eccessivo della forza. Se avessero permesso il referendum senza gli scontri che ci sono stati non avrebbe avuto questo risalto.

Cosa cambia per l’UE nel caso di un’uscita della Catalogna?

Un’uscita avverrebbe solo nel momento in cui si consolidasse una soggettività piena. In quel caso assisteremmo ad una classica ipotesi di distacco: quello Stato sarebbe fuori dall’UE e rimarrebbe fuori dalle politiche di asilo, dal mercato unico, da Schengen. Se poi la Catalogna avesse intenzione di rientrare la situazione si complicherebbe, anche se sarebbe interesse dell’Unione riaccoglierla.

In Italia cosa dice la Costituzione riguardo alle secessioni?

Nella nostra Costituzione non ci sono norme che consentano la secessione. La Repubblica è una e indivisibile. Ci sono norme per il rispetto delle minoranze e le regioni a Statuto speciale. C’è l’art. 132 per il distacco o l’accorpamento di regioni a determinate condizioni, ma si tratta solo di divisioni amministrative.

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