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Il libro sta morendo e i non-lettori aumentano. Che si fa?

malgieri, francia, marine le pen

Le statistiche sono impietose. E, per quanti sforzi faccia il ministro dei Beni culturali, non sembra che gli indici tendano a cambiare in meglio, neppure con il discusso “bonus cultura”. Dai dati in nostro possesso, incrocio quelli dell’Aie con quelli dell’Istat, e scontate minime variazioni, risulta che in Italia ci sono circa 4 milioni di lettori in meno rispetto a sette anni fa. Circa 33 milioni di nostri connazionali con più di 6 anni ammettono di non aver letto neanche un libro di carta in un anno (il 2016), quindi il 57,6% della popolazione italiana. Gli operatori del settore aggiungono, in questi giorni segnati per l’editoria dalla Buchmesse di Francoforte, che soltanto il 44% circa legge almeno un libro all’anno. Il che vuol dire che che soltanto una minoranza fa l’abbuffata di letture acquistando decine di volumi, circostanza che contribuisce in maniera decisiva ad elevare il trend. Uno scenario devastante. Ed indicativo del cattivo stato di salute del nostro Paese a fronte di altri, meno popolosi, come quelli scandinavi, dove il consumo di lettura assume valori stratosferici.

Le famiglie e la scuola hanno responsabilità oggettive nella scomparsa del libro dalle mai dei più giovani. Un dato preoccupante ancor più di quello reso noto all’inizio di quest’anno che rivela il disinteresse totale verso la lettura. Chi sono, dunque, i non-lettori? Nella maggior parte dei casi sono maschi, il 64,5% contro il 51,1% delle femmine. Passando alle fasce d’età, tra i 25 e i 74 anni, i non-lettori uomini sono il 62-66% che arrivano al 72,9% nella fascia dai 75 anni in su. Le donne che non leggono, invece, superano il 50% nella fascia oltre i 65 anni, mentre tra gli 11 e i 24 anni a non leggere tra le ragazze sono il 38-42%, aumentando dai 25 anni in su, ma sempre al di sotto del 50% fino ai 64 anni.

Ancor più allarmante è che tra i bambini l’aumento di non-lettori è stato addirittura più intenso: tra i 6 e i 10 è cresciuto del 9,3%, tra gli 11 e i 14 del 13,9% e tra i 15 e i 17 dell’11,7%.

Il trend, purtroppo, è quello di un minor numero di lettori mano mano che si va avanti con l’età: nella fascia tra gli 11 e i 14 anni i non lettori sono il 46,8%, mentre nella fascia tra i 65 e i 74 anni la percentuale cresce e si attesta sul 61%, con picchi del 73,5 % tra coloro che hanno dai 75 anni in su.

Se la civiltà di una nazione e la sua maturità si fonda anche (e direi soprattutto) sulla diffusione della cultura, lo stato dell’Italia è con tutta evidenza molto basso. E non fa sperare in nulla di buono per l’avvenire.

Per chi come il sottoscritto ha fatto della propria “tana” domestica una biblioteca occasionalmente vissuta come “casa”, è pressoché sconcertante vedere che le librerie chiudono, mentre piccolissime case editrici indipendenti sfornano ogni anno migliaia di copie destinate ad un pubblico di nicchia. Il che vuol dire che vi sono almeno due Italie ed io appartengo alla seconda nella quale mi riconosco totalmente assediato, come sono, da migliaia e migliaia di volumi ognuno dei quali mi parla, racconta non soltanto le storie che contiene, ma risveglia in me il ricordo dell’acquisto, del dono, della ricerca che lo hanno portato sugli scaffali della mia biblioteca. Antichi e moderni, nessuno trascuro per lungo tempo. Sono sentinelle silenziose che mi vengono in soccorso quando ho bisogno di conoscere il molto che ignoro o quando devo consolarmi degli affanni che mi affliggono. Trascorrono con me notti lunghissime e condividono albe precoci. Mi accompagnano nei viaggi e vigilano sulla memoria che affievolisce. Sono dinamici nell’aiutare il pensiero a non addormentarsi e severi perché non ammettono contraddizioni. Attirano il mio sguardo, che stia seduto in salotto, alla scrivania, sdraiato sul letto o che faccia le consuete abluzioni nella sala da bagno. Anche in cucina mi distraggono richiamando la mia attenzione sullo scaffale che occupano e naturalmente raccontano di cibi e di vini, la materialità della vita vissuta spiritualmente, con il gusto di conoscere a fondo sapori ed odori, ingredienti e culture gastronomiche esotiche, elementi primordiali e delicate lavorazioni dei frutti della terra.

Inorridisco davanti alle campagne promozionali che invitano, incitano, prescrivono la lettura, l’acquisto di un libro, la frequentazione di librerie. Ho l’impressione che l’industrializzazione della cultura allontani piuttosto che avvicinare il possibile fruitore di pagine stampate. Nessuno, se non mio padre, mi ha mai detto che leggere è un dovere. L’ho sempre considerato un piacere, scoperto poco a poco, accompagnato dal sottile fremito della scoperta. È così che ho fatto mio il libro, immergendomi in esso voluttuosamente, afferrandolo con rabbia e con dolcezza, con impazienza e con sufficienza, con disappunto e con gioia. Sempre con amore. Un amore tutto mio e mai indotto. Piuttosto il libro mi ha sedotto. Ecco, il suo potere. La seduzione appunto. Il libro è un segreto da violare, ma poi da custodire. Non so quanti nell’industria editoriale del nostro tempo hanno mai immaginato la creatura che fabbricano nel modo in cui si manifesta poi tra le mani e davanti agli occhi del lettore che per esso ha concepito un luogo di ricovero, una infinita vita, una dimestichezza familiare. Credo nessuno.

È di moda il libro usa e getta. Ancora di più va forte il libro elettronico, quello che si legge sui tablet, destinato a morire subito, che dura meno della vita di una farfalla, quello che nasce effimero e si acquista virtualmente. Ci stiamo preparando al funerale grandioso e tragico delle biblioteche, pubbliche e private. Il sapere se ne va con un clic, senza neppure una marcia mesta o una musica solenne e dolente.

Se è questo il destino del libro, credo che l’umanità non avrà un destino. E già, poiché la scrittura e la sua conservazione sono state le proiezioni dell’animo umano nell’infinito succedersi delle ere e delle generazioni. L’ultima parola presuppone la prima. Non c’è stata più invenzione, ma soltanto perfezionamento dopo la Stele di Hammurabi, tanto per dire di un fatto noto, ma prima di essa la raccolta di scritture è stata tentata innumerevoli volte. Di questa memoria un libro, qualsiasi libro è l’erede e come tale umanissimo continuatore di narrazioni che non possono essere ingabbiate in una pagina virtuale, cioè inesistente fino a quando un guasto meccanico, un’inezia, una distrazione, un accidente qualsiasi possono mandarla in fumo. Anzi, neppure il fumo resta.

La Biblioteca di Alessandria bruciò per giorni, molto andò perduto, ma le copie, fortunatamente, non erano uniche, la riproduzione delle stesse, per quanto approssimativa, già esisteva. E ciò che in seguito venne smarrito o custodito soltanto parzialmente, venne ritrovato e ricopiato. Così come i testi dell’antica sapienza che trovarono nei monaci dopo il V secolo i migliori riproduttori di fatti, gesta, orrori e pensieri su cui si è formato il mondo moderno, quello contemporaneo e, lo si creda o meno, si formerà quello futuro.

Davanti alle pareti della mia biblioteca non posso che rendere omaggio alla parola e alla vista. Un rito che ormai distrattamente compio tutte le volte che mi soffermo a cercare un libro. E avverto un senso di conquista quando immergendomi, sia pure occasionalmente, come per dare corpo ad uno studio, in un volume vi ritrovo spunti che rendono non soltanto più ricco il mio spirito, ma soprattutto più forte la mia mente salvo cadere nello sconforto prendendo contezza della mia abissale ignoranza. Il libro è, dunque, lo strumento di misurazione del limite. È l’antidoto all’orgoglio. È il lascito della sapienza di qualsiasi livello che comunque attiva lo spirito critico ed attrezza alla meditazione. Perciò tante volte mi sono detto che se in un eventuale diluvio universale mi fosse concesso di salvare una sola cosa materiale, non avrei esitazione: il libro. Certamente non saprei quale e quanti. Ma fosse pure uno solo sarei contento perché con esso porterei l’umanità che c’è dentro, la vita della parola incarnata, della memoria che si fa storia. E poi come non considerare che è sempre da un libro che si comincia qualcosa? Nessuno può dire di aver intrapreso dal nulla. Un inizio c’è stato. Non lo si ricorda spesso, ma frugando nel proprio passato ognuno ammetterà che un libro se non ha cambiato la sua esistenza, certamente ha contribuito ad un’intrapresa, fosse pure la più umile per un alfabetizzato naturalmente. Basterebbe questo, credo, per non lasciarsi abbindolare dalle mode che vorrebbero “costringere” ad amare il libro, come da altre tendenze secondo le quali il libro è già finito e non resta che cantare il de profundis alla sua illacrimata sepoltura. Franklin Delano Roosevelt, in un messaggio all’America, se non ricordo male nel 1942, in piena guerra mondiale, disse: «Tutti sappiamo che i libri bruciano: ma sappiamo anche che i libri non possono essere uccisi dal fuoco. Gli uomini muoiono, i libri non muoiono mai. Nessun uomo, nessuna forza possono abolire la memoria». Che una considerazione del genere l’abbia fatta un politico non deve sorprendere. Una volta i politici, anche quelli meno grandi, leggevano, studiavano, si preparavano, approfondivano. Oggi affidano le loro balbettanti frasette a ghostwriter che le trasformano in dispacci di agenzia o in discorsi melensi e affatto attraenti, quando non si lasciano sedurre dai centoquaranta caratteri di Twitter per formulare un pensiero. Fa parte della decadenza.

Come la stesura di certi libri: materiale scadente frutto del lavoro di editor che sanno come appagare palati poco esigenti. Sui banchi delle librerie sostano per qualche settimana prodotti seriali come dentifrici e saponette, ma neppure questo toglie dignità al libro in quanto tale: basta saperlo riconoscere, sceglierlo e ricoverarlo tra quelli che sono destinati a restare. Secondo alcuni sono pochissimi, secondo altri sono numerosi. Per ciò che mi riguarda mi attengo al criterio di Heinrich Heine: «Un libro, come un bambino, ha bisogno di tempo per nascere. I libri scritti in fretta mi ispirano diffidenza nei confronti dell’autore. Una donna per bene non dà alla luce un figlio prima dei nove mesi di rito».

Il libro ha bisogno di una “crociata” in sua difesa, non di leggine e regolamenti che salvaguardino le aziende editoriali e le librerie. I molti provvedimenti, come si vede, non hanno portato che all’impoverimento e ad una decadenza che immaginiamo sempre più profonda. Mentre cresce l’ignoranza.

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