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Anis Hanachi, chi è il fratello del terrorista Isis dell’attentato a Marsiglia

L’attentato Isis di Marsiglia del 1 ottobre, costato la vita a due cugine ventenni perite sotto i colpi del coltello di Ahmed Anachi, tunisino con permesso di soggiorno rilasciato in Italia, ha dato la stura ad una complessa indagine che si sviluppa tra il nostro paese, la Francia, la Svizzera e il teatro di guerra siro-iracheno. Una trama da cui emerge come Hanachi sia l’ultimo anello di una catena familiare che, accomunata dal verbo jihadista, vede l’Italia come retrovia e, forse, sede di un attacco sventato grazie all’arresto del fratello di Ahmed, Anis Hanachi (nella foto), avvenuto a Ferrara sabato scorso.

Tutto comincia due domeniche fa, quando Ahmed pronuncia il fatidico “Allahu akbar” alla stazione marsigliese di Saint-Charles e uccide, prima di essere colpito fatalmente dagli agenti di pattuglia. Prontamente rivendicato dallo Stato islamico, l’attacco non sarebbe un gesto isolato. Ne è convinta la procura di Parigi, titolare dell’inchiesta, che concentra subito la sua attenzione su Anis. Il quale al momento dell’attentato si troverebbe a Tolone, da dove la sera prima sarebbero partiti degli sms indirizzati al cellulare di Ahmed. Il sospetto è che il primo – che ha alle spalle due anni di militanza armata nelle fila dello Stato islamico in Siria ed Iraq – sia l’ispiratore dell’attacco, e il secondo l’esecutore materiale.

Il 3 ottobre, Parigi allerta le autorità italiane diramando una nota: “Abbiamo elementi per ritenere la presenza di Anis Hanachi sul territorio francese dal 30 settembre al 3 ottobre, giorno in cui si è poi trasferito in Italia”. L’Italia ha più di un motivo per mobilitarsi immediatamente. C’è anzitutto un inquietante post di Anis su Facebook: “Ormai sono disposto a tutto in nome di Allah”. In secondo luogo, la sua traiettoria lo ha già visto passare per il territorio italiano, dove approda nel 2014, in quel di Favignana, a bordo di un barcone. Da qui è immediatamente espulso, ma invece di rientrare in Tunisia si sposta in Siria, per fare il jihad con lo Stato islamico. Terzo, il fratello Ahmed è persona nota per aver risieduto otto anni ad Aprilia, dove convola a nozze con l’italiana Ramona Cargnelutti, si separa per trasferirsi in Francia, salvo fare ritorno in varie occasioni – l’ultima volta in cui è segnalato risale allo scorso maggio – per adempimenti legati al suo permesso di soggiorno.

Tutto lascia intendere, perciò, che dietro al gesto eclatante di Marsiglia ci sia una italian connection da approfondire. Le autorità italiane si mettono così alla ricerca di Anis, e lo agganciano a Ventimiglia. Come dichiara Claudio Galzerano, direttore della divisione estero dell’Antiterrorismo: “Il primo riscontro sulla sua presenza lo abbiamo avuto il 4 ottobre, in Liguria, dove ha attivato una scheda telefonica”. Errore fatale, che permette agli investigatori di monitorarne i movimenti. Dalla zona di frontiera, Anis si muove verso Sanremo o Genova. Facendo scattare ulteriori campanelli d’allarme. Il genovese è infatti terreno fertile per il proselitismo fondamentalista. Qui operano almeno due cellule, divise tra il capoluogo ed il Ponente, formate da undici elementi marocchini e tunisini, connazionali di Anis. Ci sono poi quelle informative degli 007 stranieri, che indicano Genova come potenziale obiettivo di un attacco Isis. Ci sono anche le risultanze di alcune inchieste giudiziarie, che hanno portato ad inizio settembre alla condanna di un algerino e due egiziani, considerati fiancheggiatori di Isis, e all’apertura di un fascicolo per terrorismo internazionale che vede iscritte cinque persone che frequentano la moschea di Sampierdarena. Infine, meno di un mese fa un altro tunisino, sbarcato al porto di Genova, viene subito espulso per i suoi contatti con ambienti del jihad.

Ci sono insomma tutti gli elementi per prendere provvedimenti urgenti nei confronti di quest’uomo che si aggira liberamente in territorio italiano. Anis sale su un treno diretto a Rimini, e da lì si sposta a Ferrara, dove viene ospitato da un connazionale. Qui scatta l’arresto, avvenuto sabato sera. “Si era spacciato per libanese”, dichiara Lamberto Giannini, direttore del servizio centrale Antiterrorismo, che da un lato rassicura, “Non c’è nessuna evidenza di pianificazione di attentati in Italia”, ma dall’altro conferma quanto emerso dalle indagini dei colleghi francesi: “Abbiamo ora appreso che ha combattuto in territorio siro-iracheno come foreign fighter, e che è pericoloso”. In queste ore convulse, le autorità italiane hanno modo di farsi un’idea su quanto è successo negli ultimi mesi a cavallo tra Francia e Italia. Come dichiara Franco Roberti, capo della procura antimafia e antiterrorismo, Anis “ha indottrinato il fratello e ne ha provocato la radicalizzazione”. Il foreign fighter è stato interrogato ieri alla procura generale della Corte di Appello di Bologna per la convalida del fermo: la Francia ne ha chiesto l’estradizione, su cui le autorità italiane si pronunceranno nell’udienza fissata per il 17 ottobre.

“Non sarebbe la prima volta che si sviluppano cellule jihadiste su base familistica”, spiega Pasquale Angelosanto, comandante dei Ros. Che conferma l’ampio respiro delle indagini italiane, chiamate a far luce sulle traiettorie dei due fratelli, sulla rete di complicità di cui hanno goduto e sui rischi connessi. La lente di ingrandimento focalizzerà anche gli otto anni trascorsi dal terrorista di Marsiglia in provincia di Latina. “Ahmed ha vissuto 8 anni” ad Aprilia, conferma Angelosanto, “perché sposato con un’italiana, di cui abbiamo sentito i genitori e diversi amici”.

Le indagini si diramano anche in Tunisia, dove in queste ore sono stati arrestati il fratello e la sorella degli Anachi, Anwar (transitato anche lui in Italia, è stato arrestato pochi mesi fa a Taranto per spaccio) ed Enma, ambedue in odore di estremismo. Nella rete è finito anche un altro fratello, Anour Anachi, rifugiato in Svizzera e anche lui radicalizzato. È stato individuato a Chiasso, dove la polizia ha arrestato nel centro asilanti due persone che, secondo la Fedpol, “rappresentano un rischio potenziale per la sicurezza interna in Svizzera, in collegamento con attività terroristiche all’estero”:

Questa storia, di cui rimangono molte ombre, è l’emblema del rischio terrorismo contemporaneo. Una minaccia transnazionale, che nell’Italia potrebbe avere non solo un punto di transito, ma anche lo sbocco finale.

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