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Mps, cosa non torna davvero nel caso della morte di David Rossi

Rossi

La probabile nuova inchiesta sulla morte di David Rossi, l’ex capo della comunicazione del Monte dei Paschi di Siena, volato giù dalla finestra del suo ufficio a Rocca Salimbeni, il 6 marzo di quattro anni fa, avrebbe bisogno di nuove indagini, ma, forse, anche di lasciare la città del Palio. E’ quello che si chiedono alcuni osservatori in questi giorni dopo una trasmissione tv e l’uscita di un libro.

PERCHÉ SE NE PARLA ANCORA

La morte di Rossi, non proprio esente da dubbi, come, invece, la descrivono le indagini fin qui compiute, era finita in un angolo buio, come vicolo di Monte Pio. Un vicolo tornato a illuminarsi solo grazie a un’inchiesta del programma “Le Iene”. E per rendersi conto di quanto, finora, non è stato fatto per arrivare alla verità – possibilmente rispondendo alla domanda: Rossi è stato ucciso o si è ucciso? – basta leggere, proprio sul sito de “Le Iene”, le carte della doppia inchiesta. Sul caso David Rossi c’è anche un libro molto recente, scritto dal giornalista Davide Vecchi (nella foto) e pubblicato da Chiarelettere () che si concentra proprio su quanto doveva essere fatto e non è stato fatto.

LA DOPPIA ARCHIVIAZIONE

Gli accertamenti avviati nell’ambito dei due fascicoli aperti dalla Procura di Siena e poi archiviati, nel 2013 e nel 2017 dallo stesso tribunale del capoluogo toscano, non solo non sono serviti a fare luce sul caso Rossi ma hanno restituito un elenco di pesanti interrogativi che riguardano sia la morte dell’ex capo della comunicazione del Monte dei Paschi di Siena sia, soprattutto, i gravissimi errori commessi nella fase iniziale delle indagini. E parlare di errori, anche clamorosi, se l’obiettivo è dare una risposta alla famiglia del dirigente, non può essere più un tabù, nemmeno a Palazzo di Giustizia.

IL PREGIUDIZIO

L’inchiesta sulla morte del giornalista ha imboccato una strada in salita fin dal principio per via di quel pregiudizio – l’uomo si è suicidato – che probabilmente è la causa scatenante di numerosi errori e omissioni cominciate dal momento in cui, in vicolo Monte Pio, è stato ritrovato il corpo di Rossi. E così, semplicemente leggendo attentamente le carte, si evidenziano gravi lacune investigative, come sottolineano l’inchiesta e il libro.

LE TELECAMERE

In questa vicenda giocano un ruolo molto importante le immagini, quelle registrate dalle telecamere disseminate lungo tutto il perimetro di Palazzo Salimbeni e nel vicolo dove si è consumata la tragedia. La logica avrebbe voluto che fossero acquisiti – immediatamente, perché dopo 7 giorni il sistema li sovrascrive – tutti i filmati registrati da tutte le telecamere, interne ed esterne alla sede della Banca, e questo non è stato fatto. Ad eccezione del filmato choc che ritrae la parte finale della caduta di Rossi. Nel ricostruire l’accaduto, tra l’altro, c’è stato anche un erroneo calcolo dei tempi legato a un errore (16 minuti in più) nell’orario impresso sulle immagini registrate dallo stesso sistema di videosorveglianza. Come se non bastasse, secondo i periti della famiglia, contrariamente alla buona prassi investigativa, il filmato si interrompe diversi minuti prima dell’arrivo dei soccorsi. L’arrivo del personale del 118 viene usato come “marker” di riferimento temporale certo e per questo si tende a “cristallizzarlo” nei filmati di sorveglianza in eventi del genere.

I CELLULARI

Un’altra anomalia riguarda i tabulati telefonici – chi ha chiamato chi – di tutto il personale che quella sera si trovava nella sede della banca, mai acquisiti dall’autorità giudiziaria. E riguarda, soprattutto, la mancata acquisizione, sempre presso i gestori telefonici, dei tabulati di presenza, cioè l’elenco degli IMSI (cioè dei cellulari) che nei minuti successivi e precedenti al fatto impegnavano le celle telefoniche intorno alla banca. Un elemento, certamente complesso da analizzare, ma che avrebbe potuto aggiungere elementi di prova, anche significativi.

L’AUTOPSIA

La prima autopsia, quella che deve dare le prime risposte e nel corso della quale vengono eseguiti anche accertamenti non ripetibili, è stata lacunosa e superficiale. Le numerose ferite frontali sul corpo di David non vengono sottoposte ad un accurato esame dei tessuti. Tanto da rendere necessaria una successiva riesumazione del corpo di Rossi, che, comunque, non ha consentito, a causa del trascorrere del tempo, di avere informazioni che all’epoca sarebbero state preziose.

LA SCENA DEL CRIMINE

Errori macroscopici vengono compiuti nell’immediatezza del fatto anche all’interno dell’ufficio di Rossi, che in quel momento è a tutti gli effetti la scena di un crimine sconosciuto. Il luogo verrà isolato dagli esperti della polizia scientifica solo diverse ore dopo i fatti e dopo che molte persone avevano avuto accesso ai luoghi, vanificando ogni tentativo di impedire contaminazioni.

LE PROVE DISTRUTTE

I vestiti che indossava David Rossi sono stati distrutti senza mai essere analizzati. Stessa sorte è toccata ad alcuni fazzoletti di carta sporchi di sangue che erano stati rinvenuti nel cestino del suo ufficio: distrutti da un autista in servizio presso il Tribunale su ordine del Pm Aldo Natalini il giorno prima di ferragosto.

ROSSI POTEVA ESSERE SALVATO?

David Rossi, se prontamente soccorso, forse poteva salvarsi. Dal video della caduta è evidente che il giornalista non muore sul colpo. Rimarrà in agonia per circa ventidue minuti prima di esalare l’ultimo respiro. Solo alle 20:11 (ore 20:27 secondo il timecode difettoso del video) appare la sagoma di uomo che – telefono in mano – guarda David a terra e se ne va, senza avvisare i soccorsi che verranno allertati circa 40 minuti dopo, quando ormai per David Rossi non c’è più nulla da fare.

LA VERSIONE DELLA PROCURA

In una nota, diramata il 25 ottobre 2017 dal presidente del Tribunale Roberto Carrelli Palombi e dal Procuratore capo Salvatore Vitello, la Procura di Siena riassume le risultanze dell’inchiesta. In merito agli indumenti di Rossi, la Procura afferma che questi “non sono stati sequestrati” e dunque “non potevano essere da questa distrutti” e che “dall’analisi tecnica basata sulle foto” i vestiti “non appaiono avere avuto un ruolo determinante nella ricostruzione dell’evento”. Sulle lesioni al volto e alla parte anteriore del corpo di Rossi, la Procura precisa che “si può dire che non vi è stato un accertamento medico-legale adeguato” e che “nella seconda relazione non sussistono dati certi su genesi e natura e si formula l’ipotesi di uno strisciamento con un oggetto affilato ma non tagliente”. L’ipotesi omicidiaria “non ha elementi circostanziali o biologici che la supportino”, mentre quella suicidaria “è supportata da elementi, seppur non scientificamente dirimenti, comunque maggiormente suggestivi da un punto di vista medico legale”. Per quanto riguarda l’ombra dell’uomo che si avvicina al corpo di Rossi, gli inquirenti affermano di aver compiuto “accertamenti accuratissimi e di alta tecnologia” ma, a causa della pessima qualità del filmato di videosorveglianza, “non si è potuta ottenere alcuna utile risoluzione”.

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