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Tillerson e Mattis sotto pressione (per colpa di Trump) sul caso Niger

La morte dei quattro Berretti Verdi in Niger, e il modo con il presidente Donald Trump ha gestito la vicenda, sta creando forti pressioni dell’opinione pubblica dei congressisti sul segretario di Stato Rex Tillerson e su quello alla Difesa James Mattis, che oggi, lunedì 30 ottobre, testimonieranno davanti alla Commissione Esteri del Senato che chiederà dettagli (rivelati a porte chiuse) sulla missione finita in un’imboscata.

LE DOMANDE

L’onda di indignazione – anche politicizzata – seguita alla postura presa da Trump (le accuse false ai predecessori, le parole sgarbate alla vedova di uno dei soldati, i tweet contro i democratici), si sta portando dietro la seconda fase: quella tecnica. Servono risposte a domande precise. Come mai i soldati si trovavano in Niger? Chi ha autorizzato la missione? Quali erano gli obiettivi? Perché l’intelligence americana considerava quell’area sicura al punto da non dare copertura aerea a quella dozzina di Berretti Verdi che si trovavano a Tongo-Tongo (il Paese della strage)? Come mai La David Johnson, il soldato morto di cui Trump avrebbe trattato con parole poco sensibili la moglie (incinta), è stato lasciato solo quando è arrivata la missione di recupero? Il soldato era vivo quando sono arrivati gli elicotteri francesi che hanno evacuato i suoi compagni di plotone, è riuscito a lanciare l’avviso speciale tramite il sistema di individuazione Gps che i militari hanno con sé per rendersi individuabili in caso di richiesta di aiuto, ma è stato recuperato – morto – soltanto due giorni dopo: un’apparente violazione al principio cardine dell’esercito americano “leave no man behind“. Perché? Cos’è successo?

L’ASPETTO POLITICO INTERNO

Trump s’è mosso come un’elefante in un cristalleria, e questo s’è portato dietro le polemiche su un tipo di vicenda che invece solitamente negli Stati Uniti viene immersa dalla discrezione e dal rispetto, la morte di soldati in azione (KIA, Killed In Action, gergo tecnico). E così la situazione ha acceso i riflettori sulle critiche tecniche, pressioni a cui adesso saranno i segretari deputati a dover rispondere. Una pressione che altera di nuovo gli equilibri interni all’amministrazione, dove Tillerson e la Casa Bianca sono in rotta da settimane, e Mattis tiene duro anche perché è un pezzo di quel clan di generali che dall’interno del governo stanno cercando di normalizzare la presidenza Trump.

LA QUESTIONE TECNICO-LEGISLATIVA

I senatori chiederanno ai due segretari dettagli sul come, quando, perché, e se è stato deciso di espandere la guerra allo Stato islamico, finora combattuta apertamente solo in Siria e Iraq, all’interno dell’Africa – il gruppo che ha ucciso in un’imboscata i quattro Green Berets sarebbe un affiliato del Califfato che si fa chiamare Islamic State in the Greater Sahara (Isgs). Alcuni legislatori ritengono che questa deviazione sia un altro dei motivi per cui è arrivato il momento di  aggiornare l’Authorization for the use of military force (AUMF), una legge post-9/11. L’amministrazione Obama la usò sostenendo che combattere l’IS era praticamente la continuazione della lotta ad al Qaeda, per cui era stata creata, ma già ai tempi (tre anni fa) ci furono discussioni; Trump ha continuato sullo stesso solco, aumentando le critiche di chi chiede un aggiornamento.

LO SCORNO AL CONGRESSO

Nel dibattito sul nuovo AUMF, su cui anche Mattis sarebbe d’accordo (in base a una sua dichiarazione di inizio ottobre alla Commissione Forze armate del Senato), si sono inseriti e i politici. Il democratico Tim Kaine, uno dei principali sostenitori della necessità di aggiornamento, ha colto subito l’occasione dell’imboscata nigerina usando la leva del fornire maggiore chiarezza ai cittadini. Bob Corker, un senatore repubblicano che da poco ha ingaggiato uno scontro personale con Trump, ha aggiunto: “Penso che ciò che è accaduto in Niger e cosa succede in tutto il mondo, e poi alcune delle cose che stanno accadendo nel dossier nordcoreano” ci chiedono di lavorare su ciò che “una Casa Bianca può fare senza l’autorità del Congresso”. Corker ha annunciato di ritirarsi dalla politica perché in aperto contrasto di visioni con Trump, che si è indispettito e ha reagito da par suo, insultando; è il presidente della Commissione Esteri, e al momento è sulla linea di non fargliene passare una alla Casa Bianca.

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