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Trump non vuole negoziare con il Nord, ma gli hacker di Pyongyang forse gli hanno fatto uno scherzetto

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Il presidente americano Donald Trump mantiene il punto: secondo lui è inutile tentare un dialogo con il regime nordcoreano, e anche per questo due giorni fa ha tenuto un’altra riunione a porte chiuse per valutare le opzioni militari. In realtà ce ne sono poche di poco catastrofiche: quelle sul tavolo si portano dietro reazioni e rappresaglie di Pyongyang e il potenziale coinvolgimento di attori esterni come Russia e Cina – ma l’idea di battere sulla linea dura per Trump è tutta politica, tiene a bada i fan più sfegatati, marca ancora le distanze col gruppo di normalizzatori interni che vorrebbe approcci più morbidi, nello specifico colpisce il segretario di Stato (con cui è in rotta) che ha pubblicamente detto che il suo dipartimento sta lavorando per il colloquio.

Mentre Trump parlava nella Situation Room coi suoi generali, due B-1B Lancer decollati da Guam sorvolavano il confine dell’area demilitarizzata che borda la linea di divisione delle due Coree. I bombardieri strategici americani erano nei cieli coreani insieme a caccia di Seul in uno dei vari, ormai soliti, show of force americani.

Washington è piuttosto indispettito perché secondo quanto dichiarato dal parlamentare democratico sudcoreano Rhee Cheol-hee, quando lo scorso anno il suo governo subì un attacco hacker, a compierlo furono esperti informatici al soldo della Corea del Nord. Gli americani non reagiscono per semplice vicinanza all’alleato, ma perché tra gli oltre duecento gigabyte sottratti dai pirati del Nord (di cui soltanto il 20 per cento per ora sarebbe stato individuato da Washington), ci sarebbero dettagli militari sensibili sul contingente statunitense in Corea del Sud .

Secondo quanto dice il parlamentare sudcoreano, il regime potrebbe avere in mano dati sulle basi e sulle unità presenti, e pure info sui piani d’attacco, compreso la famosa Operation Oplan 5015, quella che Seul e Washington hanno studiato congiuntamente e che ha come obiettivo l’eliminazione fisica di Kim Jong-un per tagliare la testa alla satrapia.

I due paesi alleati smentiscono, ridimensionano, come ovvio. Ma forse la più efficace azione militare che Trump ha nella sua faretra è esattamente questa – magari abbinata a un piano condiviso con la Cina, alla quale certamente dovrebbe venir garantito il mantenimento dell’enorme influenza diretta dopo la decapitazione e il regime change. Segnali: il cosiddetto Team Six dei Navy Seals (quello che ha ucciso Osama) è stato dato più volte in Corea del Sud per esercitazioni; c’è un equipe della Cia che sta costantemente monitorando i movimenti del dittatore (e ci sono state voci su un piano per eliminarlo con un’arma biochimica); l’esercito di Seul ha formato una special assassination squad appositamente per operazioni del genere (il gruppo di incursori del Sud avrebbe ricevuto formazione dal Team Six).

Il problema è soltanto uno: se Rhee l’ha raccontata giusta, allora Pyongyang sarebbe in possesso di informazioni del più efficace dei piani armati in mano a Trump.

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