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Un arresto e il dossieraggio a Trump: ecco come si riaccendono i riflettori sul Russiagate

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Secondo le informazioni a disposizione dei media americani, il Russiagate è arrivato a un punto importante. Robert Mueller, lo special counsel che per il dipartimento di Giustizia sta indagando le interferenze russe durante le elezioni presidenziali — e le potenziali collusioni tra queste e la campagna, o elementi della campagna, Trump 2016 — avrebbe formalizzato la prima richiesta di fermo giudiziario.

UN PUNTO DI SVOLTA (?)

Non si conosce ancora chi è l’accusato e che tipo di provvedimento sarà emanato (arresti, domiciliari), tantomeno il capo d’imputazione, ma le fonti raccontano ai giornalisti americani che già dalla prossima settimana potrebbe essere resa pubblica l‘imputazione. Il grand jury avrebbe già approvato l’accusa, scrive la CNN.  Si tratta di una notizia enorme di cui si sentirà parlare molto nei prossimi giorni (o ore), quando i giornali americani affineranno le loro informazioni – perché è plausibile che, soprattutto visti i tempi, quel nome e le informazioni collegate arrivino alla stampa prima delle dichiarazioni ufficiali.

IL MOMENTO FAVOREVOLE A TRUMP

Questa notizia arriva in un momento in cui il Russiagate soffriva un po’ di interesse: l’indagine procede con costanza e accuratezza, ma sotto il punto di vista delle copertura mediatica è scesa un po’ di popolarità e rotazione. Ed è un bene per la Casa Bianca. Tra le cose positive per la presidenza successe in queste settimane su questo fronte, inoltre, c’è uno scoop del Washington Post che ha scoperto il link Partito Democratico/campagna Clinton dietro al dossier che riguarda Donald Trump e possibili elementi di ricatto che la Russia avrebbe in mano sul suo conto (tra questi alcuni dai dettagli luridi).

“L’AIUTO” DAI NEMICI

Il WaPo è un giornale che Trump detesta perché scrive spesso informazioni indiscrete e sensibili sul conto suo e dell’amministrazione, descritte dal Prez come “fake news” (ma con questo scoop testimonia, qualora ce ne fosse davvero bisogno vista l’autorevolezza internazionale della testata, la terzietà del proprio lavoro). Ora i suoi giornalisti d’inchiesta hanno scoperto che una parte delle ricerche per compilare il famoso dossier che raccoglie prove (per ora non verificate) su ricatti russi contro Trump, ripreso dall’ex Kgb in un video mentre si trovava con delle prostitute in una stanza di un hotel di Mosca, sono state finanziate dai Dem.

IL DOSSIER

È stato resto noto anche che quel lavoro di dossieraggio, condotto da un ex agente dell’MI6 (Christopher Steele, il suo nome) per conto della ditta di investigatori privati Fusion GPS, è stato pagato inizialmente dal Washington Free Beacon, un sito conservatore americano (che ha ammesso tutto) che ha iniziato l’indagine per trovare aspetti torbidi dietro ai candidati repubblicani. Era il 2015, poi il sito ha chiesto di sospendere le ricerche alla Fusion nel maggio del 2016, ma dall’aprile dello stesso anno il comitato democratico che sosteneva la candidatura di Hillary Clinton era già subentrato nei pagamenti.

CHE COSA CAMBIA?

Il punto qui è: che i Dem abbiano finanziato quel dossier, ne trasforma i contenuti in notizie fasulle come le classifica Trump (ancor più in questi giorni, sfruttando l’onda del momento)? No, non definitivamente almeno, anche se la storia è grossa e rocambolesca ci sono confronti che hanno confermato alcune delle informazioni contenute (però non quelle sul video e sul ricatto, come detto); ci sono l’Fbi e la Cia (non due fonti disattente) che lo hanno preso sul serio al punto da informare confidenzialmente l’allora presidente Barack Obama e l’allora candidato Trump della sua esistenza. Certo, le ultime notizie crepano il muro di serietà dietro a cui si difendono i democratici (ancor più in questo momento, mentre regna il caos trumpiano): i Dem si erano sempre dichiarati estranei a certi link sul dossieraggio, anche se meno ufficialmente erano usciti pure nei mesi passati.

La doppia notizia – dossier più arresto – riaccende comunque i riflettori sulla grande inchiesta Russiagate.

 

 

 

 

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