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Come scoraggiare le migrazioni dall’Africa in Europa. Parla l’arcivescovo di Tunisi

Di Patrizia Caiffa
sbarchi, Tunisi, migranti

“Stiamo tornando al tempo di Lampedusa e delle prime carrette del mare: una volta arrivavano in Tunisia per andare in Libia ora ricominciano a partire da qui”. È preoccupato mons. Ilario Antoniazzi, arcivescovo di Tunisi, dopo aver appreso la notizia della nave della marina militare tunisina che ha speronato un barcone con 70 migranti, provocando un naufragio con decine di morti. “È vero, si sta riaprendo la rotta tunisina verso l’Italia. E ultimamente ne arrivano sempre di più – dice -. Questo per noi è un campanello d’allarme”.

Gli accordi tra Italia e Libia per frenare la partenza stanno provocando i primi effetti sulla Tunisia? Come avvenuto dopo gli accordi con la Turchia, le migrazioni irregolari non si fermano. Si tappa una falla…

E se ne apre un’altra. Gli accordi con la Libia sono forse una bella cosa per l’Italia ma non per i migranti che sono lì. Sono diminuiti gli sbarchi in Italia ma i migranti in Libia sono aumentati: lì hanno scoperto anche campi profughi clandestini, dove i migranti non vengono trattati come persone umane.

È naturale, allora, che il posto più sicuro da cui provare a partire sia la Tunisia. E ultimamente ne arrivano sempre di più.

Questo per noi è un campanello d’allarme. Una volta arrivavano in Tunisia nel Sud Sahara per andare in Libia, poi tramite i trafficanti cercavano d’imbarcarsi verso l’Europa. Adesso è il contrario: scappano dalla Libia e vengono in Tunisia perché sanno che con gli accordi attuali è molto difficile andare in Italia. Ma io dubito che questi trafficanti con cui l’Italia ha fatto accordi siano persone molto affidabili.

Partono dalla zona di Sfax?

Non c’è un posto fisso per le partenze, può essere nella zona di Sfax o in tanti altri piccoli porti. Stanno lì un po’ di tempo per lavorare poi si mettono d’accordo con i pescatori, che si fanno pagare, e partono. È difficile distinguere tra un pescatore e chi vuol venire in Italia.

Quindi le condizioni di sicurezza di queste piccole imbarcazioni saranno pessime…

Stiamo tornando alle prime spedizioni verso l’Italia con i barconi. Ho l’impressione che siamo tornati al tempo di Lampedusa e delle carrette del mare.

Molte di queste “barche fantasma” riescono ad approdare clandestinamente nell’agrigentino o a Lampedusa e Linosa. C’è il rischio di infiltrazioni terroristiche?

Non si sa chi arriva in Italia, questo è vero. C’è stato un condono da parte del presidente della Tunisia che ha aperto le porte delle carceri. Perciò ci si domanda se queste persone siano rimaste qui o siano partite verso l’Italia. È gente che ha già scontato la pena. Ma ci si chiede in che condizioni queste persone siano uscite dal carcere.

In Italia è stato arrestato Anis Hannadi, tunisino radicalizzato e fratello dell’attentatore di Marsiglia. La Tunisia è il Paese più piccolo con il più alto numero di foreign fighters in Siria.

Sono tutti tunisini e questo fa paura. I foreign fighters non escono dalle carceri con la stessa facilità degli altri, però la domanda è: “Si esce migliori dalla prigione o più indottrinati di prima?”. Basta vedere in Europa come molti si siano radicalizzati in carcere.

Come vi state attrezzando dopo la chiusura della frontiera libica?

Stiamo controllando e guardiamo con un po’ di tremore a cosa sta succedendo. Certo ne arrivano di più. Non sappiamo se sia un inizio oppure un fenomeno provvisorio, però stiamo in allerta.

La Chiesa tunisina è composta soprattutto da africani sub-sahariani. Vogliono tutti partire?

Tuttora ci sono persone che vengono a chiedere la benedizione per partire. L’Europa è ancora considerata il paradiso.

Come fare per arginare seriamente partenze così rischiose?

Piuttosto che fare campi per i migranti in Libia, servirebbe una grande campagna per dire che l’Europa non è più un paradiso terrestre ma che tentare il viaggio è un grande rischio. In molti Paesi africani c’è moltissima ignoranza in materia, non sanno cosa succede una volta arrivati in Europa. Pensano che ci sia lavoro, invece la realtà è molto differente. Tanti per partire vendono terreni e case e, una volta partiti, non tornano più perché è un disonore. Preferiscono rischiare la vita piuttosto che rientrare da persone sconfitte e umiliate.

(Articolo tratto dal sito Sir – Servizio informazione religiosa)

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