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Serve William Shakespeare (forse) per capire il Rosatellum

Studiare William Shakespeare sicuramente non fornisce una chiara valutazione degli effetti sistemici di una legge elettorale ma dà un quadro più chiaro della vita della politica.

Come possiamo determinare un grande episodio storico in anticipo? Sembra impossibile. I greci parlavano di moira, il fato, qualcosa di pre-determinato.
Nella “Lotteria di Babilonia”, Borges descrisse il destino come un fatto di casualità: nel racconto, una persona può essere uccisa o ricompensata solo in base al lancio di un dado.

Ci vuole un certo senso del tragico per accettare che, fuori da un numero molto ristretto di studiosi, la scienza politica è ancora un’aspirazione dell’accademia e le tragedie e le storie shakesperiane offrono una guida migliore per comprendere le bizzarre manovre di palazzo e i conflitti fra élite.

E’ vero, esistono molti fattori in gioco, ma opere come Hamlet, Julius Caesar e Macbeth esplorano le profondità carsiche del pensiero, i cui dettagli non possono mai essere conosciuti in anticipo.

Nel corso della nostra vita conosciamo persone molto aggressive che generano una crisi dopo l’altra a scapito di se stessi e dei loro affetti, ed altri che sono senza dubbio cauti e più modesti, che vanno da un successo apparentemente facile ad un altro. Shakespeare è stato capace di trasmettere l’essenza degli intrighi fra gli uomini.

Le manipolazioni di Iago verso Otello, così come Amleto contro Claudio, i “giochi” di Falstaff con il principe Hal e decine di altri esempi. In Coriolano e Lear sono le piccole cose fra gli uomini -egoismi, invidie, percezioni errate- a fare da protagoniste. Universi di linguaggi dove la razionalità strumentale è piuttosto inserita in un deturpante uragano di passioni, così che gli eventi più epici assumono i toni di strambi imprevisti e di drammi personali.

È proprio il riconoscimento di questa contraddizione che produce i nostri migliori storici, politici e analisti: uomini e donne che riconoscono sì alcuni gradi di predeterminazione, ma solo nel quadro caotico e impossibile di prevedere le interazioni umane, guidate dalla forza di personaggi dalle emozioni pulsanti che agiscono secondo la propria volontà, per il bene o il male.

Lo storico britannico Orlando Figes nel suo “People’s Tragedy: the Russian Revolution” ha inquadrato la Rivoluzione Russa ed il suo epilogo in una serie di what if, analizzando le singole scene del “racconto” come uno sceneggiatore maneggia quelle di una nuova piece teatrale.

Cosa sarebbe successo se lo zar Alessandro III non fosse deceduto a 49 anni, molto prima che suo figlio Nicola II avesse maturato l’attitudine al comando?
Cosa sarebbe successo se lo zar Nicola avesse supportato il Principe L’vov?
Cosa sarebbe avvenuto se Alexei Romanov, figlio di Nicola, non avesse sofferto di emofilia e quindi il mistico Rasputin non avesse manifestato la sua distruttiva influenza sullo stato russo?
E se Lenin fosse stato arrestato durante una delle notti passate da bettola a bettola durante la clandestinità a Pietroburgo?
E così via.

Non è il regno della scienza politica. E’ un regno shakesperiano. Gli eventi umani non possono essere ridotti a formulette da laboratorio.

Molto spesso si ignora l’esistenza di mondi dove la brutalità è padrona delle relazioni, e più il mondo diventa caotico più reagiamo con stupore e sconvolgimento, perché il sapere storico e culturale che si ricava dalla storia e dalla letteratura, con tutte le sue verità spiacevoli, è qualcosa che abbiamo troppo spesso ignorato.

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