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Chi è (e cosa pensa) monsignor Tomasi su nucleare, pace e democrazia

In parallelo all’annuncio, non ancora ufficiale nei dettagli, dell’incontro in Vaticano voluto da Papa Francesco sul tema del disarmo nucleare, che avrà luogo il 10 e 11 novembre prossimo a Roma, mons. Silvano Maria Tomasi, parlando al quotidiano La Repubblica, ha messo in guardia dal fatto che “è evidente che ora siamo di fronte al rischio reale di uso dell’atomica: per caso, per decisione consapevole o perché le persone che siedono nella stanza dei bottoni mancano di equilibrio mentale”. Mons. Tomasi è infatti una delle personalità, all’interno del Vaticano, che si è maggiormente speso sul tema delle relazioni diplomatiche, in modo particolare all’interno di organismi internazionali come le Nazioni Unite, o dell’impegno delle religioni a favore di una globalizzazione che miri all’obiettivo del benessere e della pace.

LE PAROLE DI MONS. TOMASI SUL BANDO DELLE ARMI NUCLEARI

Commentando il recente trattato sul bando delle armi nucleari firmato dopo anni di negoziazioni lo scorso 7 luglio alle Nazioni Unite, che coinvolge 122 Paesi, e alla quale la Santa sede ha contribuito con la sigla del segretario per i Rapporti con gli Stati mons. Paul Richard Gallagher, mons. Tomasi aveva affermato ai microfoni della Radio Vaticana che si tratta di “un passo nuovo nella ricerca della pace”, e “che non è più ragionevole far dipendere la sicurezza dal possesso di armi nucleari”, in quanto “acquisire e possedere armi nucleari o dispositivi esplosivi nucleari è veramente inaccettabile”. Inoltre, ha spiegato il monsignore, nonostante “la decisione di votare un trattato simile viene considerata dai Paesi che hanno il possesso delle bombe atomiche un gesto un po’ idealistico”, e considerato il “vulnus giuridico”, “vediamo che si sta facendo un cammino per creare una mentalità che porti alla coscienza che la sicurezza è non nell’avere la bomba atomica, ma che nessun Paese ce l’abbia”. Perciò, “dobbiamo tener conto che questa minaccia reciproca non è la strada che deve imboccare la famiglia umana”, al contrario fatta di “un dialogo permanente attraverso strutture internazionali efficaci”.

L’INCONTRO IN VATICANO CON UNDICI PREMI NOBEL 

Parlando al quotidiano diretto da Mario Calabresi ha specificato che “l’ideale sarebbe che il trattato diventasse obbligatorio per tutti i Paesi”, ma che “anche riuscire a convincere qualche Stato ad aderire sarebbe importante. Non si può pensare che ci sia un futuro sostenibile con ventimila bombe atomiche nel mondo”. Con queste premesse la Santa Sede ha deciso di “convocare tutte le parti in causa per sollecitare un negoziato che coinvolga gli Stati che posseggono armi nucleari”. Anche se, riguardo all’incontro, a cui parteciperanno ben undici premi Nobel – compresa la vincitrice di quello per la pace di quest’anno, la direttrice dell’Ican Beatrice Fihn -, e pare che si stia lavorando per coinvolgere anche il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres e l’alto rappresentante dell’Ue per gli affari esteri Federica Mogherini, è sbagliato “parlare di una mediazione da parte della Santa Sede“, in quanto si tratta più semplicemente di “un incontro di alto livello”, ha voluto precisare il direttore della sala stampa vaticana Greg Burke.

L’IMPEGNO DEL PAPA PER L’ELIMINAZIONE DELLE ARMI NUCLEARI

Quella per il disarmo nucleare è infatti una preoccupazione profondamente incastonata nell’agenda di Papa Francesco. Già a marzo, alla conferenza delle Nazioni Unite sulla proibizione delle armi nucleari, Bergoglio ha inviato un accorato messaggio (qui il testo integrale), dopo averlo fatto anche nel 2015, durante il suo viaggio apostolico a Cuba e negli Stati Uniti (qui il testo). Espressa poi anche nei tweet, come il 26 settembre scorso per la giornata dell’eliminazione delle armi nucleari – “impegniamoci per un mondo senza armi nucleari, applicando il Trattato di non proliferazione”, ha scritto Bergoglio – o nelle affermazioni durante il volo di ritorno dalla Colombia, in cui rispondendo ai giornalisti ha spiegato che, anche se “io non capisco la geopolitica e gli interessi che ci sono dietro”, “mi viene in mente una frase dell’Antico Testamento” in cui è scritto che “l’uomo è uno stupido, è un testardo che non vede”. E ieri, in visita alla sede del dicastero per lo sviluppo umano integrale, ha ribadito che “con il nucleare l’umanità rischia il suicidio“.

IL CAMMINO CONTRO LE ARMI NUCLEARI E LA CONFERENZA DI VIENNA

Il cammino comune contro le armi nucleari nasce dalla conferenza di Vienna del dicembre 2014, quando Bergoglio disse che “spendere in armi nucleari dilapida la ricchezza delle nazioni” e che “quando tali risorse sono dilapidate, i poveri e i deboli che vivono ai margini della società ne pagano il prezzo” (qui l’intero discorso di Bergoglio). Dunante l’incontro Tomasi le indicò come “un problema globale”, e spiegò che “la riduzione della minaccia nucleare e il disarmo esigono un’etica globale. Ora più che mai, i fatti dell’interdipendenza tecnologica e politica richiedono un’etica di solidarietà nella quale lavorare gli uni con gli altri per un futuro globale meno pericoloso e moralmente responsabile” (qui il testo dell’intervento).

LE PAROLE DI TOMASI SUL CONFLITTO TRA STATI UNITI E COREA DEL NORD

Riflettendo sulla tensione tra Stati Uniti e Corea del Nord, alla Radio Vaticana Tomasi ha detto che “da una parte stiamo camminando verso una coscienza più chiara e dall’altra vediamo che purtroppo alcuni Paesi che hanno le armi atomiche vogliono tenerle e altri cercano di sviluppare ancora questa tecnologia militare”, ma che “noi come cristiani dobbiamo camminare sulla via della pace e rafforzare l’educazione e la cultura pubblica”. Portare infatti a un tavolo negoziale, ha chiosato, “persone con mentalità radicalmente diverse, con obiettivi politici diametralmente opposti, è molto difficile, però non dobbiamo smettere di tentare la strada del dialogo”. E in un secondo momento ha aggiunto: “È chiaro che la situazione è molto complessa”, ma “di fatto c’è quasi una democratizzazione della discussione”, che “va aldilà dei Paesi importanti che hanno queste armi”. Per la Corea del Nord, nello specifico, “è necessario che il problema sia impostato prima di tutto sul dialogo”, ma anche “in un contesto più vasto”, rispondendo cioè “alle esigenze primarie dei Paesi più poveri e più piccoli che cercano di affermare la loro esistenza anche attraverso delle posizioni che non sono accettabili, come lo sviluppo delle armi atomiche”.

CHI È MONSIGNOR SILVANO MARIA TOMASI

Trevigiano, della famiglia degli scalabriniani, attuale membro e segretario delegato del Dicastero per lo Sviluppo umano integrale, mons. Tomasi è stato nominato osservatore permanente della Santa Sede presso l’ufficio dell’Onu a Ginevra e presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio il 10 giugno 2003, e ha svolto questo ruolo fino al febbraio 2016. “Non c’è un conflitto o divergenza di opinioni tra la Santa Sede e l’obiettivo di pace e prosperità che viene presentato nella dichiarazione universale dei diritti umani”, ha affermato Tomasi in un’intervista nel periodo successivo all’elezione di Bergoglio: “Ma al di la delle grandi discussioni, degli statement ufficiali, bisogna arrivare alle persone, alle comunità, e aiutarli a vivere in una maniera più degna. Papa Francesco aiuta molto in questo”. Avendo vissuto gran parte dei primi anni della sua vita a New York, dove si è formato sia come docente di teologia – con una laurea magistrale in scienze sociali e un dottorato in sociologia alla Fordham University di New York – che come sacerdote, ordinato nella Congregazione dei Missionari di San Carlo il 31 maggio 1965, Tomasi si è sempre impegnato sul fronte del dialogo. “C’è un individualismo assoluto che si è imposto nel cammino della nostra cultura pubblica, dal ’68 in avanti, che ha corroso dal di dentro il senso della relazione con l’altro, il senso di comunità”, aveva spiegato in un intervento.

L’IMPEGNO DI TOMASI DA NEW YORK SUL TEMA DELLE MIGRAZIONI

Prima assistente della cattedra di sociologia presso la City University di New York, poi direttore fondatore del Center for Migration Studies di New York e infine fondatore e curatore della rivista trimestrale “International Migration Review”, si è occupato fin da giovane di migrazioni, con lo sguardo però di chi si trova dall’altra parte dell’Oceano, seguendo da vicino le comunità italiane a New York. Dall’83 all’87 ha diretto l’ufficio per la cura pastorale degli immigrati e rifugiati della conferenza episcopale statunitense, nell’89 è stato nominato segretario del pontificio consiglio per i migranti e gli itineranti. Parlando dell’attuale situazione migratoria in Europa, in un intervista a Tv2000 ha affermato: “Oggi arrivano masse di immigrati con incertezza sul loro futuro: non sanno se restare, cosa faranno, come essere integrati, cosa avviene una volta arrivati. Bisogna riflettere se le società che accolgono queste nuove masse di immigrati hanno dei criteri pratici per integrarli”. Inoltre, dal ’96 al 2003 ha svolto il servizio di nunzio apostolico in Etiopia, Eritrea e Gibuti e di osservatore presso l’Unione africana, periodo nel quale è nata l’Università Cattolica d’Etiopia.

COSA PENSA TOMASI SU PACE, RELIGIONE E DEMOCRAZIA

“Le religioni sono un test per le democrazie”, aveva spiegato a margine di un incontro al Meeting di Rimini, quando ancora il pontefice era Benedetto XVI. “Se guardiamo ai conflitti nel mondo, vediamo che alla radice delle difficoltà ci sono spesso identità religiose che provocano reazioni o che vengono utilizzate come copertura per manovre di carattere politico e di ricerca di potere. Mentre per avere una vera democrazia è un fattore critico la possibilità per le religioni di esprimersi, non solo nell’aspetto devozionale ma anche istituzionale, nel servizio alla società. Se si riconosce questa presenza completa e multiforme, allora vediamo che ci sono anche tutti gli altri requisiti per una vita democratica costruttiva, orientata al bene di tutti”. Mentre quelle che vengono indicate come “democrazie perfette” sono in realtà “governate da minoranze, composte da élite economiche, che controllano le grandi decisioni pubbliche”, e spesso sono caratterizzate solo da “tentativi di preservazione del potere, più che da una ricerca di servizio al bene del Paese”. Al contrario la preoccupazione dell’attuale pontefice, ha affermato Tomasi a margine di un recente incontro a Roma in cui ha sposato la ricetta dell’Onu per un “Global New Deal” (qui l’articolo di Formiche.net), è quella di creare “una società che sia inclusiva”, vale a dire cioè che “non si limita agli immigrati o ai richiedenti asilo”, viste la sensibilità e l’attenzione rivolte loro dal Papa, ma “abbraccia tutta la popolazione” e va intesa nel quadro “più ampio della Dottrina sociale della Chiesa”. E che comprende, evidentemente, in un’intelaiatura complessiva, anche il disarmo nucleare.

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