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La Germania, AfD, la rabbia e l’Italia

alice weidel, afd

Un preoccupato collega tedesco, non certo accreditato di simpatie di sinistra, ha definito il successo elettorale di Alternative fur Deutschland (AfD) un cavallo di Troia. La mente è corsa a Hitler, passato per libere elezioni prima della dittatura. Pensiero subito rimosso, anche se a fatica.

Tra i tanti interrogativi che suscita la presenza di Afd nel prossimo Bundestag, per l’Italia si impone però una domanda: è al riparo dalla minaccia xenofoba che dovrà affrontare Angela Merkel in Germania, dove la rabbia della minoranza corrisponde alle angosce della maggioranza?

Da come si ragiona di ius soli e di accoglienza degli immigrati, senza accorgersi del cambiamento della nostra società, sembrerebbe di no. Eppure avremmo tutti gli strumenti per sapere già oggi chi siamo veramente e scoprire che un lavoratore regolare e uno studente su dieci in Italia sono stranieri, evidentemente parte della comunità tricolore. Una forza insomma, che può diventare una debolezza, se non spiegata con cognizione di causa e numeri alla mano all’opinione pubblica, spaventata da una inesistente invasione che metterebbe a rischio sicurezza e identità.

Sul primo fronte, dal Rapporto sugli stranieri e il mercato del lavoro in Italia, emerge come l’incremento dell’occupazione valga anche per i non italiani. In particolare, l’aumento è stato nel 2016 superiore alle 19mila unità nel caso dei cittadini UE (+2,4%), di 22.758 unità nel caso dei cittadini non UE (+1,4%), di 250mila unità per gli occupati italiani (+1,2%). Nel 2016, la stima del saldo migratorio è stata di +135 mila unità. Giusto qualcosa in più degli italiani che invece hanno lasciato il paese nello stesso anno, in gran parte giovani. Un bilancio che fa pensare ma non deve indurre a conclusioni affrettate. Gli uni (gli stranieri) non hanno tolto il posto agli altri (gli italiani). E lo dimostrano i dati ufficiali.

L’incidenza percentuale sul totale degli occupati dei lavoratori esteri, comunitari e non, è infatti passata dal 6,3% del 2007 al 10,5% del 2016, con rilevanti differenze settoriali. Si tratta di un lavoratore su dieci, una percentuale importante, direi sorprendente, che aumenta se si prendono in considerazione l’Agricoltura, dove la forza lavoro straniera pesa per il 16,6% del totale, il Commercio, dove si è passati dal 3,7% rilevato nel 2007 al 7,2% del totale degli occupati nel 2016, e i Servizi, in cui la presenza estera è salita dal 5,9% al 10,7%. Sono numeri che danno un volto a tutti coloro che ogni giorno incontriamo nei cantieri, nei negozi sempre e nei tanti campi coltivati. La sensazione, anzi più di una sensazione, è che si accontentino di posti che noi riteniamo desueti, visto che lasciano il paese persone che molto probabilmente non lavorerebbero in campagna, in un drugstore o come muratore.

La nostra società è però mutata anche alla base di partenza: la scuola. L’ultimo Rapporto del Ministero dell’Istruzione sull’integrazione, certifica come quasi uno studente su dieci in Italia sia uno straniero: dal 1995 al 2016 sono passati da 50.322 a 815.000, il 9,2% del totale. Nel 1983 erano solo 6.000. Da qualche anno gli scolari di origine migratoria rappresentano peraltro la componente dinamica del sistema scolastico italiano, che contribuisce con la sua crescita a contenere la flessione della popolazione scolastica complessiva, derivante dal costante calo degli studenti italiani. Un po’ come accade per i contributi pensionistici degli immigrati che permettono l’equilibrio dei conti previdenziali. Nell’ultimo quinquennio, gli studenti italiani sono diminuiti di 193.000 unità, passando da 8.205.000 a 8.012.000 (-2,3%), gli studenti stranieri sono invece aumentati di 59.000 unità (+7,8%) passando da 756.000 a 815.000. Il bilancio dei due flussi di segno opposto è un decremento di 133.000 componenti della popolazione scolastica complessiva, scesa da 8.960.000 a 8.827.000 studenti. Anche qui si può fare un paragone sul tasso di crescita demografica della popolazione originaria, che senza immigrati si ridurrà da oggi al 2070.

Quelle appena elencate non sono solo cifre di un cambiamento prorompente in atto, ma rappresentano un tratto distintivo e assodato di una società multiculturale che si fa largo anche da noi, tra mille difficoltà e molti pregiudizi, che influenzano anche il rapporto tra salvaguardia dell’identità e obblighi di accoglienza dei migranti. Soprattutto oggi. Soprattutto in Europa, Italia compresa. Abbiamo paura del cambiamento, ma siamo già cambiati.

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