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Perché la sinistra anti Pd sbaglia su economia e lavoro

Sinistra all’attacco contro il liberalismo. Anzi l’ordoliberalismo (Foucault), come spesso vengono definite le politiche che valorizzano il mercato. Da questo punto di vista il jobs act ne rappresenta la bestia nera. Non ha contribuito alla crescita dell’occupazione – questa la critica ritornante – aumentano gli occupati, ma non le ore lavorate. Segno evidente di una precarizzazione dei rapporti di lavoro. I diritti di questo mondo si sono affievoliti, di fronte alla prepotenza padronale, come mostrano casi clamorosi. I salari non crescono da tempo immemorabile, al punto che è dovuto intervenire lo stesso Mario Draghi per sollecitare un cambiamento.

Negare questa realtà sarebbe impossibile. Ed è difficile non riconoscere che in alcuni casi e per alcuni Paesi le critiche sono ampiamente giustificate. In Germania, ad esempio, le riforme del mercato del lavoro, introdotte da Gerhard Schröder, hanno contribuito ad accentuare le contraddizioni di quel “modello di sviluppo”. Ch’erano già tipiche della Germania federale. Ma che, con la successiva riunificazione, hanno subito una forte lievitazione. Al punto da condizionare, in peggio, l’intera Unione Europea. La forza industriale di quel Paese non è tanto rivolta a creare un maggior benessere collettivo – c’è naturalmente anche quello – ma, soprattutto, a mantenere elevato il surplus della bilancia dei pagamenti con l’estero. Circa 8 punti di Pil, mentre i salari ristagnano e cresce la rabbia – il successo elettorale di AfD (Alternative für Deutschland) – degli esclusi. Se fossimo agli inizi del ‘900, saremmo in pieno leninismo: ristrettezza del mercato interno per alimentare il flusso delle esportazioni di capitale.

Qualcosa del genere, seppure in forme ben più rachitiche, accade in Italia. Anche in questo caso, il contenimento della domanda interna alimenta il surplus della bilancia dei pagamenti. Seppure con un’intensità minore (2,4 per cento del Pil) ed una differenza ben più drammatica: un tasso di disoccupazione che è più del doppio di quello tedesco. Che si unisce a crescenti fenomeni d’emigrazione soprattutto tra le nuove generazioni. Una perdita secca di valore non compensato da un’immigrazione – altra differenza con la Germania – di qualità. Anche in questo caso i salari ristagnano, le differenze territoriali aumentano, la precarietà, nei rapporti di lavoro, la fa da padrone.

Le cause di questa preoccupante degenerazione vanno ricercate nella bassa produttività. Che, a differenza degli altri Paesi, non riesce a tenere il passo. Essa deriva dalla carenza di investimenti pubblici e privati. Tanto più grave in una fase segnata da intensi cambiamenti tecnologici. Sono crollati con la grande crisi del 2008 e da allora non si sono più ripresi. Salvo un piccolo risveglio in questi ultimi due anni. In un quadro così depresso, le speranze di un tasso di profitto di ritorno sono legate solo alla compressione del costo lavoro. Che a sua volta produce conseguenze perverse: il ristagno della domanda effettiva che frena gli investimenti privati. Un circolo vizioso.

Sembrerebbe, quindi, che le tesi della sinistra abbiano una qualche giustificazione. Sennonché quel modello era inceppato anche quando la domanda interna cresceva ad un ritmo maggiore. Il fatto è che le leggi di mercato operano al meglio solo in ambiente favorevole. In Italia, invece, siamo liberisti per quanto riguarda le attività private, ma post – comunisti, per quanto riguarda il resto: pubblica amministrazione, tassazione, giustizia, welfare e via dicendo. Contraddizione che crea un corto circuito, destinato a comprimere, ogni oltre misura, quella “produttività totale dei fattori” che contribuisce, in modo determinante, alla crescita complessiva del Paese.

Di chi sia la colpa di questo mismatch è facile vedere. Sindacati, corporazioni varie, burocrati grandi e piccoli, professori fin troppo permissivi e via dicendo. Alla giusta denuncia dei limiti del capitalismo italiano dovrebbe quindi accompagnarsi un profondo esame di coscienza. Non solo da parte della sinistra ovviamente, ma anche di quei liberali immaginari che sognano animal spirits, per dirla con Schumpeter, ma che poi non sono capaci di mettere le mani nelle tagliole che ne frenano gli slanci.

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