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Inventare una scienza quanto vale?

La domanda si impone dopo la pubblicazione di una notizia eminemente scientifica di neurofisiologia. Dopo averla sintetizzata mostreremo che non si tratta di un evento sporadico, una delle tanto apparenti meteore nel mondo della conoscenza, ma del frutto di un progetto dalle ricadute planetarie sul quale Obama ha investito oltre 1 miliardo di dollari, e che ha visto la tartaruga italiana fare un sorpasso sbalorditivo (e davvero low-budget).

Il fatto. Alla vigiglia di Ognissanti, la prestigiosa rivista Nature Communications ha pubblicato un articolo, di paternità eminentemente italiana, in cui si rivela la possibilità di guardare i neuroni all’opera come mai prima d’ora. In particolare il professor Antonio Malgaroli e la sua squadra, di giovani e brillanti ricercatori italiani, sono riusciti a mettere a punto una tecnologia che consente di spogliare il cervello di una straordinaria parte dei suoi travestimenti, consentendo di superare così il limite osservativo nel quale la neurologia si trovava ormai da diversi anni e persino decenni.

Come è successo. Il cervello è un oggetto particolarmente pudico, e quasi timido, infatti oltre a starsene ben nascosto dentro un guscio di ossa dal quale fa capolino solo con piccole sonde: le propaggini del sistema nervoso, è in se stesso oscuro; non solo in senso figurato, è letteralmente “impermeabile” alla luce e per questo la sua attività e la sua fisiologia ci sono accessibili solo tramite strumenti, come le note tac e risonanze magnetiche, che ne colgono tuttavia o comportamenti macroscopici o mutamenti perlopiù morfologici per quanto dettagliati (entro comunque la scala del visibile). Quando invece lo si voglia analizzare in profondità, il rischio è di alterarne le dinamiche in maniera così incisiva o da perdere grandissime quantità di fondamentali dettagli, o, più prosaicamente, di stecchire la cavia…

Per tentare di afferrare la meraviglia di questa nuova scoperta – che non stupirebbe se dovesse valere al nostro Paese il settimo premio Nobel per la Medicina – il gruppo di Malgaroli è riuscito in estrema sintesi a convincere alcune parti dei neuroni a diventare fluorescenti, consentendoci così di vederne il funzionamento all’opera. Per semplificare: qualcosa di lontanamente paragonabile ad un mezzo di contrasto, con la differenza che il contrasto è introdotto dall’esterno con tutte le interazioni e alterazioni che questo inevitabilmente comporta. Ciò che c’è di straordinario è che questa luce non è invece avventizia, ma è stata fatta accendere dall’interno ai neuroni, consentendo di monitorare e mappare i flussi e gli scambi tra queste strutture in vita, ora un poco appena meno arcane.

Così come la fisiologia è lo studio del funzionamento dinamico del corpo, mentre l’anatomia è l’analisi delle strutture che lo compongono, il SynaptoZip, così si chiama questa nuova freccia all’arco delle neuroscienze, consente di aprire una dimensione della ricerca sulla fisiologia cerebrale che fino ad oggi poteva solamente essere sognata. Il cervello, che ricordiamo è la struttura nota all’uomo più complessa dell’intero cosmo, più misteriosa del cosmo stesso per la nostra scienza, grazie a questa ricerca potrà essere studiata non semplicemente “sotto una nuova luce”, ma grazie ad una luce che proviene dal suo interno.

Come rischino di essere silenziose le vere rivoluzioni è un accadimento che lascia sempre meravigliati. “Non uscire da te stesso, torna in te; nell’interiorità dell’uomo dimora la verità” scriveva Sant’Agostino con altre intenzioni e certamente altri linguaggi poco più di un millennio e mezzo fa; forse la Verità è un buon prodotto a lunga conservazione.

E che ce ne importa? A tal proposito ad un altro filosofo, scomparso prematuramente negli anni Settanta, noto in occidente col nome di Bruce Lee, amava citare Goethe per ricordare come “non basta sapere, occorre applicare; non basta volere, bisogna anche fare”. Questa nuova scienza, nascerà. Dal momento infatti che un sogno viene avvertito come realizzabile diviene inevitabilmente un progetto per qualcuno, si determina come un centro di gravità che attrae interessi, tempo, energia risorse. E, dopo un momento in cui a beneficiarne sono pochi pionieri, si diffonde e, come ben diciamo oggi, assume una forma che lo fa diventare virale. Fare previsioni è roba da economisti esperti, insomma una questione tecnica, e non ne faremo qui; ricordiamo tuttavia che le teorie di Charles Dow (quello stesso sig. Dow a cui è intitolato il più noto indice di azionario) a diventare qualcosa di sostanzioso non hanno impiegato secoli, bensì solo pochi decenni. Se quelle ricerche, che rendono più comprensibile e di conseguenza prevedibile il comportamento di un oggetto finanziario, è lecito domandarsi quanto possa valere una chiave di lettura del più misterioso ginepraio nell’Universo?

Si potrebbe pensare che eventi di simile portata siano rari e che per questo possano sfuggire a chi sarebbe nelle condizioni e nelle condizioni di metterli a frutto. Ma l’Italia è fertile di questi pregiati frutti della mente. Chi ha visto di persona gli anni Sessanta ricorderà Carosello e la réclame interpretata da Gino Bramieri sul moplen. Ebbene, si trattava del nome commerciale del propilene isolattico, in sintesi la plastica: un’altra invenzione italiana che valse nel ’63 il Nobel a Giulio Natta. Se quelle ricerche, invece che soddisfare i propri investitori avessero stimolato una ulteriore attività di studio e da quel brevetto fossero scaturiti poi, come è successo di fatto, tutti gli altri brevetti circa gli specifici polimeri plastici di cui il mondo è anche troppo ricoperto, quanto potrebbero valere oggi accentrati nelle mani di un’unica nazione? Quale potrebbe essere oggi il peso geopolitico di uno stato a cui il mondo intero riconoscesse una frazione di moneta per qualunque oggetto plastico prodotto?

Non so rispondere, e tuttavia sono certo che, in questi termini ci importa!

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