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Germania, “terzo sesso” e le ultime follie della giurisprudenza nichilista

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C’era una volta l’Occidente. C’era una volta la visione filosofica universale dell’uomo che dalla Magna Grecia è giunta pian piano fino a noi, attraverso il suo progresso cristiano. Questa grande navigata di scoperta della realtà è riassunta nella famosa definizione che Aristotele ha dato della natura: unione sostanziale di forma e materia.

Tommaso d’Aquino spiega che nell’uomo tale descrizione dice tutto ciò che siamo: spirito incarnato, anima corporea, intelligenza sensibile e volontà libera. Senza comprendere la peculiare unione viva di forma e materia in ogni persona non è pensabile né la soggettività umana, né la sua dignità universale. Ecco perché il rispetto di qualcuno e di qualcuna inizia e finisce sempre con la tutela e salvaguardia del suo corpo animato. Senza il corpo, infatti, la persona non è umana, e la visione dell’uomo diviene astratta e priva di consistenza. Nella dimensione naturale del corpo noi troviamo la parte materiale di noi stessi, la nostra individualità, e l’universalità della nostra intelligenza, e con essa la piena coscienza razionale della sessualità maschile e femminile che ci contraddistingue come esseri pensanti e liberi.

C’era una volta tutto questo… abbiamo detto. Già, perché da Berlino giunge notizia che ora è nata una nuova era. Oltre al maschio e alla femmina bisogna riconoscere, recita una sentenza, il cosiddetto “inter”, forse “divers”, ossia colui che non è né di sesso maschile, né femminile: un angelo, uno spirito, o chissà… certo non un uomo. All’opposto, secondo la definizione dell’Alto rappresentante dei diritti umani dell’Onu, che fa eco alla prima citata sentenza dei giudici di Karlsruhe, vi sono, per l’appunto, persone “cui non possono essere attribuite le tipiche definizioni di maschile o femminile”, e alle quali vanno concessi lo stesso dei diritti umani.

Perché, prima non li possedevano forse?

Difficile dire, in fin dei conti, di che diritti umani e di quale specificità si discetti lassù.

È fin troppo chiaro, invece, che se spogliamo completamente delle note individuanti la definizione dei diritti nativi di una persona non è la confusione che si crea, ma la negazione stessa dell’essenza dell’uomo. A ben vedere, d’altronde, o nella persona includiamo dall’inizio il suo corpo sessuato e non manipolabile a piacere, oppure dalla persona escludiamo la persona stessa, facendo diventare qualcuno un qualcosa di neutro e privo di consistenza reale.

Non nascondiamoci dietro la maschera. L’operazione legislativa in atto nel mondo è ben più seria di qualche nota filosofica marginale che possiamo richiamare ironicamente. Svestire la persona di caratteristiche strutturate ontologicamente, ed originariamente presenti nella sua materialità, significa ridurre al minimo la sostanza umana per mettervi al suo posto una pseudo identità costruita volontaristicamente. Infatti la sentenza arriva non perché qualcuno sia nato senza essere maschio o femmina, il che equivarrebbe peraltro a non avere proprio un corpo umano, ma perché un singolo cittadino “intersessuale” ne ha fatto richiesta individualmente per poter essere così finalmente libero dalla propria sessualità biologica.

Benché, però, sia lampante che la nostra identità personale è “costituita” anche, sottolineo “anche”, da ciò che vogliamo essere e diveniamo di fatto, tale parte d’identità, voluta appunto da noi, è possibile realizzarla in modo umano unicamente se al fondo esiste già da sempre un’identità “costitutiva ed originaria”, questa sì non sottoposta né a manipolabilità, né a svuotamento di sostanzialità materiale.

Come non riconoscerlo?

Gli esseri umani non sono soggetti pensanti puri, né volontà trascendentali in grado di auto crearsi in modo infinito dal nulla: gli esseri umani sono quello che sono dal principio della propria vita, nella propria sostanziale esistenza incarnata, per tutto il tempo che dura l’esistenza. È questo punto di partenza sacro, misterioso e indecidibile che ci fa essere umani, e ci fa riconoscere noi stessi e gli altri come persone che esistono sulla Terra come dotate di una dignità e un valore incommensurabile. È questo presupposto naturale non volontario che ci fa essere anche liberi e attivi. Ed è proprio questo punto di partenza che ci rende tutti uguali tra noi, tutti potenzialmente intelligenti e attivi, pur nelle differenze che ognuno ha rispetto agli altri.

Distruggere la materialità dell’uomo, relativizzare la dualità sessuale che sta alla base della nostra sostanza e della nostra autentica soggettività, vuol dire assecondare surrettiziamente l’egoismo e il relativismo con una giurisprudenza nichilista che respinge qualsiasi limite etico oggettivo che si frapponga al funesto e apocalittico culto libertario della propria ossessiva ricerca singolare di originalità, anche quando questa finisce per essere poi palesemente anti umana.

È bene ricordare, in fin dei conti, che esiste un’unica specie che può di fatto autodistruggersi: e questa è appunto la specie umana. Ed essa comincia la propria dissennata auto demolizione non appena autorizza le persone a manipolare in modo assurdo la vita, l’esistenza, la natura e la propria sessualità incarnata, spalancando il post-umano come autostrada verso il non più umano.

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