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Ecco come il Pd punta a ricostruire il centrosinistra. Parla Andrea Romano

La partita non è affatto persa in partenza, il Partito Democratico crede ancora alla possibilità di costruire un’alleanza ampia di centrosinistra – di cui faccia parte anche Articolo 1 – e di poter concorrere per la vittoria finale alle prossime elezioni politiche. Una sfida rilanciata in questa conversazione con Formiche.net dal deputato dem e direttore del quotidiano online Democratica Andrea Romano, per il quale l’avversario da battere è rappresentato soprattutto dal centrodestra mentre il MoVimento 5 Stelle – in virtù di questa legge elettorale che premia le coalizioni – risulterebbe, a suo avviso, tagliato fuori.

Eppure, in molti stanno affermando che saranno il centrodestra e il movimento di Beppe Grillo a contendersi il successo. Vi sentite ancora in lizza?

Che lo dicano è comprensibile, ognuno lavora per casa sua. Ma in realtà non è così: tutti i sondaggi accreditano il Partito Democratico di una quota di consensi tra il 27 e il 29%. Quasi il doppio di Forza Italia. Io penso, invece, che siano i cinquestelle ad essere tagliati fuori dalla corsa per Palazzo Chigi.

Perché?

La competizione elettorale sarà tra coalizioni: l’aspirazione dei cinquestelle ad andare da soli sempre e comunque li esclude dalla corsa per il governo del Paese. Che sarà tra centrosinistra e centrodestra, le due vere coalizioni italiane. L’isolamento dei pentastellati di fatto li condanna a svolgere una funzione di mera rappresentanza. Mi verrebbe da dire com’è avvenuto in Sicilia.

E’ sicuro che esista una coalizione di centrosinistra? Al momento sembra in alto mare.

La stiamo costruendo, al pari di quanto sta succedendo, peraltro, nel centrodestra: dopo i festeggiamenti per la vittoria di Nello Musumeci, hanno cominciato subito a polemizzare tra loro. La verità è che sono in corso due cantieri: uno a sinistra e l’altro a destra. Dove, ad esempio, sono fortemente divisi su Europa e moneta unica. Noi stiamo lavorando alla costruzione di un’alleanza che abbia una gamba più di sinistra e una di centro, e che faccia perno sul Partito Democratico.

Però l’impressione è che il centrodestra, al netto di alcune scaramucce, sia in grado di trovare una sintesi, mentre il centrosinistra no. I vostri rapporti con Articolo 1 sembrano peggiorare ogni giorno.

E’ fondamentale separare gli elementi personali da quelli politici: la scissione di Mdp è relativamente recente e rende per questo più fresche le ferite. Non possiamo negarlo. Ciò detto, noi non abbiamo alcuna preclusione, nonostante l’alto livello di conflittualità che continuano a dimostrare nei nostri confronti.

Non è un bel problema per voi, in un momento come questo in cui sarebbe bisogno di un centrosinistra largo e unito?

Purtroppo in alcuni casi l’unica ragion d’essere di Mdp sembra sia quella di colpire il Pd: un atteggiamento che mi ricorda le pagine più oscure della storia della sinistra. Noi, invece, continuiamo a pensare che un all’alleanza sia possibile. Loro, però, devono avere ben chiaro chi sono gli avversari: non Matteo Renzi o il Pd, ma la destra e il populismo.

D’Alema anche recentemente ha detto che con Renzi ogni accordo è impossibile. Come pensa sia possibile uscire da questo cul-de-sac in cui tutto il centrosinistra si è infilato?

La questione riguarda solo Mdp e non tutta la sinsitra. Basti pensare a Giuliano Pisapia che in più di un’occasione ha dichiarato come il suo obiettivo sia di sconfiggere la destra e i populisti e non Renzi. D’Alema certamente ha una grande visibilità, però noi non stiamo costruendo un’alleanza sulla questione della risposta da dare a D’Alema.

Ma non c’è solamente lui. Lo stesso vale anche per Pierluigi Bersani, Roberto Speranza e tanti altri.

Il tema fondamentale è come costruire un’alleanza che sia competitiva rispetto al centrodestra. D’Alema dice che il problema è Renzi? Mi dispiace per lui, però il mondo non finisce con D’Alema. Anche perché il voto siciliano ha dimostrato una cosa molto chiara.

Quale?

Che chi decide di perseguire una strategia di totale isolamento non ottiene risultati straordinari. Mdp è nata sulla seguente premessa: intercettare i milioni di voti che, a loro avviso, esisterebbero alla sinistra del Pd. Non mi pare che abbiano avuto ragione.

Però nel frattempo la data delle elezioni si avvicina. In fin dei conti lei pensa che un accordo alla fine si troverà oppure no?

Nonostante tutto, ci credo. Cito Antonio Gramsci: “Pessimismo della ragione, ottimismo della volontà“. Credo che l’interesse nazionale – di fronte a un avversario politico molto minaccioso – prevarrà sulle ragioni della piccola bottega personale.

Molti imputano a Renzi di aver fallito nello sfondamento elettorale a destra e di aver perso contemporaneamente una parte dello zoccolo duro di sinistra. Come risponde?

Che abbia perso lo zoccolo duro di sinistra, ho i mei dubbi: i sondaggi nazionali ci accreditano del 27%. Quasi un terzo del Paese. E poi, ormai, l’elettorato è mobile, come conferma l’avanzata dei cinquestelle nel 2013. Oggi i cittadini non decidono più in virtù di appartenenze tribali immutabili, bensì sulla base delle proposte concrete e della credibilità delle forze politiche e dei candidati. L’obiettivo non è coltivare un orticello – grande o piccolo che sia – ma convincere la maggioranza degli italiani.

E intanto si è riaperto il dibattito sulla leadership di Renzi nel Pd e nel centrosinistra. Che ne pensa?

E’ un dibattito inevitabile, che però non condivido affatto: Renzi fa questo lavoro non perché lo abbia deciso lui o un piccolo gruppo di deputati. Bensì perché lo hanno scelto due milioni di partecipanti alle primarie. Questa è la forza del Pd ed anche di Renzi. Non è stato eletto da un caminetto, ma da un’amplissima platea popolare.

Ciò detto, è ancora l’uomo in più per il centrosinistra oppure no?

Penso naturalmente di sì. Ritengo che sia la figura politica più competititva di cui dispone oggi il centrosinitra. In grado di realizzare contenuti di riforma di questo Paese – come ha dimostrato il suo governo – ma anche di rendere la sinistra italiana innovatrice e non conservatrice. Una sinistra che lotti per il cambiamento e non per la conservazione.

Lei cosa consiglia a Renzi? Dove dovrebbe cambiare?

Da quando ha lasciato Palazzo Chigi – io, per la verità, avrei preferito che non lo facesse -, si è dedicato a ciò che era necessario fare: lavorare di più per il partito. In fondo Renzi è arrivato alla guida del Pd in una fase caotica e di grandi capovolgimenti, a cui è seguita la nomina quasi immediata a presidente del Consiglio con tutto il relativo lavoro. In quello scenario così rocambolesco, il partito era stato un po’ messo da parte ma ora le cose sono cambiate. E’ ovvio poi che lo scenario non sia lo stesso di un paio di anni: una delle principali capacità di un leader politico – e Renzi sta dimostrando di averla – è anche quella di adattarsi a situazioni e contesti storici diversi. Renzi è emerso in un momento in cui la partita era “o la va o la spacca”. Oggi lo scenario richiede, invece, – come dice Walter Veltroni – un infinito lavoro di cucitura e ricucitura.

Ma è sicuro che Renzi sia in grado di svolgerlo?

Lo sta facendo ma è chiaro che non tutto dipende da lui. Per ricucire è necessario che tutte le parti siano d’accordo, altrimenti è difficile. Certamente non si può negare che oggi Renzi e il Pd stiano provando in tutti i modi a ricostruire l’alleanza di centrosinsitra. Se poi qualcuno vuole restare un segmento isolato, non possiamo costringerlo. Però stiamo lavorando perché ciò non accada.

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