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Vi racconto mosse e bizzarrie di Mohammad bin Salman

Per non scomodare gli esperti del protocollo reale, l’erede presuntivo è colui che un giorno, alla morte o l’abdicazione del re, siederà sul trono più alto, “a meno che succeda qualcosa”. Il principe Mohammad bin Salman Al Saud (Riyad, 31 agosto 1985) è un membro della famiglia reale saudita e figlio dell’attuale monarca. Il 21 giugno è stato nominato erede apparente dal re suo padre, Salman, diventando il primo nella linea di successione al trono dell’Arabia Saudita. Ha 32 anni.

Per gli amici è “MBS”, un po’ come “JFK”, almeno secondo i suoi pubblicisti, forse gli stessi che lo hanno persuaso al curioso gesto di concedere il mese scorso la cittadinanza a un robot antropomorfico, un “first” mondiale dopo il “last” di concedere, a settembre, il diritto di guidare alle donne. Si potrebbe pensare che all’erede solo apparente convenga un po’ di prudenza: specialmente dato che re Salman pare sia afflitto dalla demenza e non è, diciamo, sempre in perfetto quadro.

MBS però ha voglia di fare. Tempo fa, quando era già il più giovane ministro della Difesa al mondo a 29 anni, ha portato il suo Paese a combattere una guerra disastrosa nello Yemen. Da allora, si è scontrato con il resto dell’estesissima Famiglia Reale, con il Clero, con le Forze Armate e con buona parte della comunità degli affari saudita, nonché con l’Iran, la Turchia, il Libano, la Giordania, il Qatar, l’Iraq e pure – si dice – con la CIA, che pare preferisse un precedente “presuntivo”. I critici gli attribuiscono pure un ruolo chiave nella sanguinosa guerra siriana, fomentata dai Sauditi. Ad ottobre ha annunciato la costruzione della prima città al mondo ad essere totalmente automatizzata e “sostenibile”, ad energia solare, con le auto senza conducente e tutta gestita dall’Intelligenza Artificiale. La metropoli sarà una sorta di porto franco e occuperà una grande distesa di deserto tra l’Arabia Saudita, la Giordania e l’Egitto. L’investimento iniziale saudita sarà di $500 miliardi.

Oh, e vuole trasformare l’ultraconservatrice fede Wahabista dei sauditi in una forma di Islam più moderna e liberale… In questi giorni l’erede presuntivo ha improvvisamente lanciato una vasta campagna “anti-corruzione”, facendo arrestare, tra gli altri, il Principe Alwaleed bin Talal, uno degli uomini più ricchi del mondo, con importanti partecipazioni negli studi 21st Century Fox, Citigroup, Apple, Twitter e molte altre attività. Sono state messe sotto chiave “dozzine” di altri principi, alti ufficiali militari, quattro ministri del Governo e diverse decine di ex ministri. Per il Wall Street Journal il valore dei patrimoni sequestrati e da sequestrare si aggirerebbe sugli $800 miliardi. In un paese democratico, tanta energia moralizzatrice potrebbe forse provocare un’ondata di sostegno popolare. L’Arabia Saudita non è una democrazia. Parrebbe una strategia alla “o la va o la spacca”, anche se altri propendono per la più netta “è uscito di testa”. Però, che sia intenzionale o meno, il giovane ed entusiasta bin Salman potrebbe forse avere trovato una soluzione per il singolo più pressante problema del Paese: il basso prezzo del petrolio. Grave confusione in Arabia Saudita, il più importante produttore del greggio al mondo, dovrebbe spingere all’insù i prezzi che languono sui mercati internazionali. Basterà che i sauditi siano ancora in grado di estrarlo una volta che abbiano raccolto i cocci.

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