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Dimon di Jp Morgan gufa contro Trump?

“Se dovessi puntare dei soldi, scommetterei che Donald Trump sarà presidente per altri tre anni e mezzo”. Parola di Jamie Dimon, Ceo di JP Morgan Chase & Co., la più importante banca degli Stati Uniti d’America. Durante un’intervista all’Economic Club of Chicago, il super banchiere si è lanciato in un oracolo che sta facendo il giro del web, suscitando non poca ilarità in ambienti repubblicani, a cominciare da Dan Scavino, direttore dei social media della Casa Bianca.

Già, perché tutti ricordano l’ultima volta che Dimon si era applicato alle scienze augurali. Era il 17 ottobre del 2016, e a una conferenza il banchiere fra gli applausi scroscianti della sala si era lasciato andare ad una predizione: Hillary Clinton vincerà le presidenziali. Anzi, dava proprio per scontato l’approdo della democratica alla Casa Bianca, tanto da auspicare con un mese di anticipo che “la nuova presidente riesca a superare le divisioni”. Chissà allora se il presidente Trump, giuntagli la notizia di una nuova scommessa di Dimon, non abbia deciso di festeggiare prolungando le celebrazioni per il Thanksgiving alla Casa Bianca, in questi giorni impegnata ad ospitare con tutti gli onori due tacchini (letteralmente), Drumstick e Wishbone, un dono curioso della National Turkey Association.

Non è un mistero che i rapporti fra il numero uno di JP Morgan e il nuovo inquilino della Casa Bianca non siano rose e fiori. Eppure Dimon vantava un’ottima partenza nei rapporti con la nuova amministrazione. Nel dicembre 2016, mentre Obama chiudeva le valigie per far posto al Tycoon, era stato nominato presidente della Business Roundtable, potente lobby di Ceo con un canale diretto a Capitol Hill. Di più, il transition team di Trump lo aveva contattato all’indomani della vittoria elettorale per offrirgli una delle poltrone più ambite alla Casa Bianca: quella di Segretario del Tesoro.

Dimon aveva declinato l’offerta con un “No grazie”, aprendo la strada all’attuale Segretario Steve Mnuchin e spazientendo non poco il nuovo presidente. Dietro a un no così inaspettato ci furono forse calcoli di opportunità politica, sicché una carica del genere lo avrebbe posto sotto i riflettori e forse ristretto nella libertà di manovra. Di certo non fu il portafoglio a frenare la scalata di Dimon nell’amministrazione: come aveva rivelato Fortune, il lauto stipendio annuale del Ceo di Jp Morgan di 28 milioni si sarebbe potuto triplicare con un incarico governativo, per una (discussa) clausola della banca che garantisce ai dipendenti reclutati dal governo lo stesso compenso sommato a una sorta di liquidazione aggiuntiva.

Col passare dei mesi il suo ruolo di “ambasciatore” di Wall Street a Washington ha perso forza. Ancora a maggio Dimon, dinnanzi a una conferenza con gli azionisti di JP Morgan, si definiva “un patriota” pronto a supportare Trump, “Il pilota che guida il nostro aeroplano”. Lisciate al presidente, ironizzava Vanity Fair, perché per Dimon la posta in gioco della nuova riforma fiscale trumpiana, specie sulla deregolamentazione tanto cara al mondo finanziario, valeva certo di più delle divergenze ideologiche.

Ad agosto lo strappo pubblico, con gli scontri di Charlottesville e la tiepida condanna di Trump dei suprematisti bianchi responsabili delle violenze. Allora Dimon si era messo a capo della rivolta dello Strategic and Policy Forum, organismo di rappresentanza del mondo industriale con funzioni consultive per il presidente, consegnando le dimissioni assieme ai colleghi. Non che Trump sia rimasto particolarmente scosso, tanto che su Twitter si era limitato a commentare: “Invece che pregare i businessmen del Manifacturing Council e dello Strategic & Policy Forum, li chiudo entrambi. Grazie a tutti!”.

Così si spiegano le ultime stoccate contro Trump del presidente di JP Morgan a Chicago, specie sulla gestione del Nafta, l’accordo di libero scambio con Canada e Messico, da parte dell’amministrazione. “Non dovremmo mai essere così aggressivi con un vicino come il Messico” ha sbuffato Dimon. Poi la scommessa (benaugurale?) sulla sconfitta del Tycoon nel 2020, “Ma i democratici devono trovare un candidato ragionevole, altrimenti Trump vincerà”.

(Foto: Forbes)

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