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La nuova Repubblica e l’impostazione enciclopedica dei grandi giornali

Ho apprezzato la riforma grafica de la Repubblica. È ariosa, ha dei caratteri molto belli anche per la tonalità del colore. Non sono un intenditore, ma la mia opinione è questa. Certo un giornale lo si compra e lo si legge anche per la linea editoriale che segue, la quale non dipende dalla grafica. Ho tuttavia notato con interesse una netta presa di distanza – sul tema delle pensioni – nei confronti della posizione della Cgil sui provvedimenti proposti dal governo. Rispetto alle mie convinzioni è già un passo avanti. Ma continuo a credere che le risorse destinate – anno dopo anno – alla previdenza siano, non dico buttate dall’elicottero, ma si rivolgano ad esigenze per nulla prioritarie nell’attuale condizione del Paese.

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Sfogliando la nuova Repubblica – la stessa osservazione vale per tutti i grandi quotidiani – mi sono chiesto se gli editori si rendano conto che il lettore non dovrebbe aver altro da fare, durante tutta la giornata, per compiere un esame anche superficiale di tutte quelle pagine. E tenersi uno spazio, la sera dopo cena, da destinare alle notizie brevi. Un impegno siffatto non è consentito a chi lavora. Ma anche un pensionato – come chi scrive – non può stare tutto il giorno in poltrona a leggere il quotidiano del cuore dalla prima all’ultima riga. Qualsiasi persona normale finisce per dare un’occhiata d’insieme e dedicarsi ad un paio di articoli. Addirittura può capitare che il quotidiano venga usato, la mattina dopo, per la lettiera del gatto senza che sia stato letto. È evidente che l’impostazione enciclopedica ed onnisciente dei grandi giornali scoraggia l’intenzione di acquistare più di uno. Tanto più che pullulano rassegne stampa di ogni tipo (che finiscono anch’esse per essere cancellate dalla posta, il giorno dopo, senza essere state neppure sfogliate), pagine on line che arrivano persino sullo smartphone. Per non parlare (è meglio evitarlo) dell’informazione televisiva. Io consiglio di non frequentare le cattive compagnie dei social, ma purtroppo non mi danno ascolto. In buona sostanza, siamo sommersi dall’informazione, ma finiamo per non avvalercene perché ci manca il tempo per farlo.

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A proposito di informazione. In una recente puntata di un talk show (in verità civile e ben condotto, diversamente dalle solite ‘’fumerie d’oppio’’ a cui siamo abituati) è stato presentato un servizio sul caso di un padre e di un figlio messi a confronto col loro destino pensionistico. Il padre è in quiescenza da un decennio ed ha potuto andarci a 55 anni dopo 40 anni di lavoro, mentre la prospettiva del figlio si presenta incerta soprattutto sul versante dell’attività lavorativa che sta svolgendo. Ovviamente la responsabilità di questo ingrato destino è attribuita ad Elsa Fornero. Nel dialogo tra i due si avverte l’apprezzamento per un sistema che ha consentito il pensionamento del padre ad un’età in cui avrebbe potuto ancora lavorare a lungo. Il fatto è che spostando in avanti di un decennio la vicenda umana di quei due signori si scoprirebbe che il padre – nonostante tutte le maligne riforme – potrebbe tuttora varcare l’agognata soglia facendo valere 41 anni di contributi (un anno in più di quelli che gli sono stati richiesti 10 anni or sono), essendo un lavoratore precoce (avendo cioè versato 12 mesi di contributi prima dei 19 anni). Ecco la prova provata dell’esistenza di tanti luoghi comuni, da un lato; e dei disastri provocati dagli ‘’aggiustamenti’’ della riforma Fornero, dall’altro. Infatti, la nuova disciplina dei c.d. precoci è prevista in modo strutturale in una norma contenuta nella legge di bilancio 2017.

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