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Vi ricordo le piroette di Pierluigi Bersani e Massimo D’Alema su lavoro e Cgil

Di fronte alla giornata di “mobilitazione” contro il governo proclamata per sabato 2 dicembre dalla segretaria generale della Cgil Susanna Camuso, che il giorno dopo parteciperà molto probabilmente al raduno degli scissionisti del Pd, ricambiando così la scontata presenza di costoro alla manifestazione sindacale del giorno prima, Fabrizio Rondolino si è tolto il gusto di ricordare un congresso del Pds del 1997. Segretario del partito era Massimo D’Alema, col quale Rondolino lavorava. Segretario della Cgil era Sergio Cofferati.

I tempi sono diversi, e in parte anche gli uomini, e le donne. Ma i problemi maggiormente spinosi del mondo del lavoro sono rimasti, ahimè, gli stessi: la crisi del posto fisso, le nuove forme di occupazione, la difesa dal precariato, la disciplina dei licenziamenti, le pensioni, eccetera. Ai bagni estivi di mare continuano a seguire quelli autunnali di protesta.

Allora, mentre alla guida del governo c’era Romano Prodi e D’Alema, anche se Rondolino ha omesso di ricordarlo, o non lo ricorda più neppure lui, soffriva delle lentezze, indecisioni e quant’altro del professore emiliano, l’appuntamento congressuale del Pds si trasformò in una ramanzina, a dir poco, al sindacato. Il segretario del partito rimproverò praticamente a Cofferati di attardarsi a difendere chi era già protetto di suo, dalla solidità dell’azienda dove lavorava a quella del contratto collettivo, e di fregarsene di chi lavorava senza alcuna protezione, o non lavorava per niente.

Purtroppo quando l’anno dopo toccò a lui di andare a Palazzo Chigi, preferendo sostituire Prodi piuttosto che andare alle elezioni anticipate reclamate dal presidente del Consiglio dimissionario dopo la fiducia negatagli da Bertinotti e compagni, D’Alema già cominciò ad annacquare il riformismo vigoroso di cui aveva dato prova muscolare al congresso.

Figuriamoci adesso che sono passati da quel congresso vent’anni, durante i quali D’Alema ha contribuito prima a costruire e poi a sfasciare un nuovo partito di sinistra chiamato Pd, sul cui segretario egli esprime ogni volta che ne ha occasione i peggiori giudizi, sino a considerarlo sul piano politico -per non parlare degli aspetti personali dello scontro perenne- un intruso, un uomo di destra infiltratosi in una formazione di sinistra.

Fra gli scissionisti, D’Alema è il più ostile a Renzi e a tutto ciò che egli ha fatto al governo e- secondo lui- ha imposto al suo successore a Palazzo Chigi. Le cui offerte o proposte al sindacato, ogni volta che si apre o riapre una vertenza, com’è accaduto sull’allungamento dell’età pensionabile per effetto della maggiore durata media della vita, non sono mai sufficienti a chiuderla con un’intesa, anche a costo di sfasciare la tanto perseguita e mitizzata unità sindacale con la Cisl e la Uil.

Pier Luigi Bersani, un altro riformista persosi per strada, è corso appresso a D’Alema cambiando persino carattere, riuscendo a inacidire anche la sua vecchia o usuale bonomia imitata da Maurizio Crozza.

Finirà per perdere il suo perenne sorriso sulle labbra, e abbronzatura annessa, anche il presidente del Senato Pietro Grasso, nuova icona della sinistra pura e dura. Che, non potendo definire radicale perché mi sembrerebbe di tradire la memoria di Marco Pannella, preferisco continuare a chiamare al quadrato, anzi al cubo.

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