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Serve un programma comune alle liste di centrosinistra. Parla Arturo Parisi

Le elezioni politiche si avvicinano ma il centrosinistra continua a faticare a prendere forma. La possibile alleanza tra il Partito democratico e Mdp sembra naufragata ancora prima di nascere mentre l’accordo con Giuliano Pisapia da un lato ed Emma Bonino dall’altro ancora non decolla. Eppure – per come è congegnata la legge elettorale – il Pd avrebbe l’assoluto bisogno di costruire un campo largo che gli consenta di essere competitivo in occasione del prossimo appuntamento elettorale. Una necessità riconosciuta dallo stesso Matteo Renzi, a proposito della quale Formiche.net ha intervistato l’ex ministro della Difesa, Arturo Parisi, considerato uno dei grandi ideatori dell’Ulivo di Romano Prodi.

Professor Parisi, quale centrosinistra pensa sia giusto costruire in vista delle prossime elezioni politiche?

Quello migliore tra quelli possibili. Un centrosinistra che per inseguire la quantità dei seggi non perda di vista il fatto che questi sono sì figli dell’algoritmo che secondo la legge elettorale trasforma i voti in seggi, ma soprattutto della qualità della proposta che raccoglie i voti. Anche se la nuova legge elettorale ci ha privati dell’idea che la competizione abbia come posta direttamente il governo, il patto tra le liste che si apparentano per lucrare i posti in più nel terzo di seggi decisi con la regola maggioritaria non può essere un accordicchio qualsiasi. È quindi necessario che il gruppo di liste di centrosinistra condivida una base programmatica attraente e capace di tenere nel tempo.

Su quali temi pensa che debba concentrarsi la base comune?

Penso che almeno la scelta per l’Europa e le alleanze internazionali, la politica economica, il governo dei processi migratori, e il contrasto delle disuguaglianze tra i cittadini debbano essere visibilmente comuni.

E’ ancora Renzi la persona giusta per guidare il centrosinistra a suo avviso?

Al di là del giudizio che ognuno possa darne, non mi sembra che nel Pd la leadership di Renzi sia in discussione. Il voto delle primarie lo ha ribadito senza possibilità di un appello che anticipi le scadenze statutarie. Quanto al futuro, di certo da molte parti sento lamenti ed obiezioni ma non vedo nessuna mano alzata che si proponga in alternativa.

Ma per la guida della coalizione?

Quanto invece al tavolo delle liste apparentate che – come ho detto – chiamiamo impropriamente coalizione, il problema potrebbe porsi solo quando e nella misura in cui ci si proponesse di riaprire quell’orizzonte comune che un tempo chiamammo Ulivo. Onestamente un tempo lontano. Purtroppo molto lontano. A tutt’oggi non sappiamo né quanti né quali altri soggetti oltre al Pd riconosceranno il centrosinistra come uno stabile campo comune e già ci interroghiamo su chi debba guidarlo?

Sbagliano, secondo lei, Bersani e D’Alema nell’intestardirsi in questa posizione di netta ostilita nei confronti del Partito Democratico?

Sbagliano? Purtroppo i verbi sono ormai tutti al passato. Mi ero illuso che fosse possibile un ripensamento.

Invece?

Arrivati ad una settimana dal varo di un nuovo soggetto politico – quello risultante dalla unione di MdP, SI e Possibile – che ha come ragione sociale una competizione col Pd chiusa ad ogni forma di cooperazione, non credo che Fassino avesse alternativa a prendere atto del loro rifiuto definitivo.

Non era forse un esito scontato?

Che fosse possibile era in qualche modo nel conto. Ma era doveroso provarci. Per consentire che gli elettori possano scegliere a ragione veduta era doveroso avanzare una proposta e registrarne la risposta. Capisco che uno possa separarsi da un cammino che era stato comune. Ma contrapporsi rinviando il confronto a dopo il voto e a dopo una campagna elettorale che approfondirà inevitabilmente le divisioni è un’altra cosa. E per di più mentre ancora si governano insieme comuni e regioni.

Quale ritiene possa essere il ruolo di Romano Prodi nel corso della prossima campagna elettorale? E’ preoccupato per le divisioni a sinistra?

Quello di sempre. La difesa dell’unità presente. E il contrasto di ulteriori divisioni future.

Eugenio Scalfari ha detto che se dovesse scegliere tra Berlusconi e Di Maio, opterebbe per il primo. Cosa ne pensa?

La prova migliore della situazione nella quale siamo finiti. Siamo messi male se pure Scalfari che dell’antiberlusconismo ha fatto quasi una religione non capisce che anche la semplice prospettazione di un’alleanza destra-sinistra è il migliore contributo al successo di M5s.

Visto quanto sta succedendo nel centrosinstra, ritiene anche a lei – al pari di molti osservatori – che la sfida per il governo del Paese sarà soprattutto tra centrodestra e Movimento 5 Stelle?

Perché mai la sfida dovrebbe essere tra centrodestra e M5s? E il centrosinistra? Nonostante le presenti difficoltà del campo di centrosinistra, nella gara tra gli aggregati il risultato più probabile è che i cinquestelle finiscano terzi, e tra le liste a finire terza se le va bene ci finirà Forza Italia.

Sì ma se la sfida per il governo fosse tra M5s e centrodestra?

Sarebbe tutto fuorché una sfida per il governo. I 5 Stelle non vogliono. E gli altri non possono. Come pensare che i primi possano mai raccogliere da soli i voti necessari a governare? Come pensare che, se i partiti di centrodestra dovessero mai conquistare la maggioranza dei seggi, riuscirebbero poi a governare? Non le dice nulla la richiesta di Salvini di portare Berlusconi di fronte ad un notaio per il patto che dovrebbe regolare il loro eventuale futuro comune? La verità è che la stessa idea di democrazia governante, ossia di un governo designato dal voto dei cittadini, è ormai un ricordo. Il referendum dell’anno scorso le ha dato infatti un colpo mortale. E il Rosatellum si è incaricato di seppellirla. Non ci sarà nessuna sfida per il governo. Del governo si deciderà dopo il voto. Dentro il voto mi auguro che vi sia almeno una gara di idee.

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