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Cosa può fare l’Europa in Catalogna. Parla Fasone (Luiss)

monaco

Ora che Carles Puigdemont e i suoi ministri della Generalitat sono rifugiati a Bruxelles, a due passi dalle istituzioni Ue, difficilmente l’Unione potrà restare indifferente alla crisi fra Madrid e Barcellona. Tanto più dopo la richiesta della Corte suprema spagnola di un mandato di arresto europeo per l’ex presidente della Catalogna. Abbiamo chiesto a Cristina Fasone, ricercatrice di diritto comparato alla Luiss che ha pubblicato per la Cambridge University Press un paper sulle secessioni in Europa, cosa bisogna aspettarsi da Bruxelles nei prossimi mesi. Ecco la sua conversazione con Formiche.net:

Le sembra coerente la decisione delle istituzioni europee di tenersi fuori dal conflitto fra Madrid e Barcellona, considerandolo un “affare interno” dello Stato spagnolo?

Senz’altro è coerente con le precedenti tensioni che si son avute in altri Stati membri. L’Ue ha sempre trattato i tentativi di secessione come questioni interne che riguardano la struttura costituzionale dei Paesi membri. Altra questione è la valutazione su questa presa di posizione, a mio modo di vedere l’UE non è semplicemente un attore terzo.

Cioè?

La Catalogna è una regione europea, che partecipa a una serie di attività europee, come il Comitato delle regioni, ha una sua rappresentanza a Bruxelles, il catalano è una delle lingue ufficiali dell’Unione. Ci sono delle prassi che spingono a valorizzare le singole regioni, soprattutto quelle dotate di poteri legislativi come la Catalogna. Per questo un intervento pacificatore dell’Unione Europea, dal momento che le istituzioni spagnole non ne sono state in grado, sarebbe stato auspicabile alla luce dei principi dello Stato di diritto nei Trattati.

L’Ue ha qualche responsabilità per il risentimento dei catalani contro Bruxelles? Forse sono state gestite male le politiche dei fondi strutturali negli anni passati?

La politica di coesione e dei fondi strutturali ha visto beneficiarie in passato le regioni autonome spagnole, inclusa la Catalogna. Ormai i maggiori beneficiari sono i paesi di nuova adesione. I fondi strutturali hanno servito lo scopo di riequilibrare le asimmetrie economiche presenti in Spagna. Ma lo scopo della politica di coesione è sopperire alle mancanze delle regioni più svantaggiate, e la Catalogna sicuramente non è fra queste.

Nella sua ricerca ipotizza alcune condizioni che permettano alla regione che ha dichiarato l’indipendenza di rientrare nell’Ue. Se la secessione non è consensuale, come nel caso catalano, davvero si può rientrare nell’Unione Europea?

No, a trattati vigenti è impossibile. Un eventuale nuovo Stato indipendente riconosciuto come sovrano dovrebbe avviare le procedure di adesione come un qualsiasi stato terzo, non avrebbe nessuna corsia privilegiata sei i Trattati restassero tali. Guardando al caso scozzese, proponevo la possibilità di riformare i Trattati per inserire una supervisione della Commissione Europea su un processo di secessione concordato fra lo Stato membro e lo Stato nascente. Il referendum scozzese del 2014 infatti era perfettamente concordato con Londra.

Anche se il nuovo Stato candidato rispettasse i requisiti, resta il potere di veto degli Stati membri sulla candidatura degli Stati terzi. La Spagna, ad esempio, difficilmente un domani voterebbe a favore della Catalogna.

Certo, infatti la precondizione per cui questo accesso privilegiato avvenga è che lo Stato membro da cui questa regione si sia distaccata abbia accettato la secessione e che la comunità internazionale riconosca questo Stato come sovrano. Per garantire i principi democratici dello stato di diritto avevo ipotizzato alcuni requisiti, come la previsione di un processo negoziale e concordato con la regione che secede. Un caso non dissimile è la decisione, in tutt’altro contesto, della Corte suprema canadese che ritenette una secessione unilaterale del Quebec inammissibile in base alla Costituzione, richiedendo un processo in cui vi fosse una chiara maggioranza della popolazione e il governo federale e quello provinciale fossero concordi sulla procedura da seguire.

Secondo lei è necessaria una modifica dei Trattati Ue per tutelare meglio le autonomie regionali ed evitare un nuovo caso catalano?

A mio modo di vedere le autonomie sono sufficientemente tutelate. Ci sono diverse norme dei Trattati che si occupano di questo, come quelle sui fondi strutturali, oppure quelle del Trattato di Lisbona che prevedono il coinvolgimento dei parlamenti regionali nell’esame delle proposte legislative dell’UE prima che siano approvate. C’è poi un articolo che è la norma di chiusura di questo sistema: l’art. 4 par. 2 del Tue secondo cui l’Unione si impegna a rispettare l’identità nazionale insita nelle strutture costituzionali degli Stati membri, comprese le autonomie locali e regionali.

Con la richiesta della Corte suprema spagnola di un mandato di arresto europeo per Puigdemont, rifugiatosi in Belgio, l’Ue dovrà entrare, volente o nolente, nella crisi catalana. Secondo lei ci sono gli estremi per un mandato del genere?

Credo che ci siano gli estremi per un mandato di arresto europeo, a meno che Puigdemont e gli altri membri dell’esecutivo rifugiatisi in Belgio riescano a dimostrare legalmente che, nel caso di un rientro in Spagna, potrebbero essere sottoposti a gravi violazioni dei diritti. Le autorità belghe dovranno vigilare perché non ci siano gli estremi per trattamenti contrari ai diritti umani, ma in quel caso saremmo di fronte a una gravissima violazione dello stato di diritto da parte della Spagna.

Mettendo in manette i membri della Generalitat Rajoy ha commesso un errore politico?

Bisogna precisare che la decisione è stata presa dalle autorità giudiziarie. Rajoy si limita come esecutivo a utilizzare la procedura dell’art. 155 della Costituzione sul commissariamento della Catalogna. La soluzione politica doveva essere cercata prima del referendum e della dichiarazione di indipendenza. Non dobbiamo dimenticare che le spinte secessioniste in Catalogna sono risalenti quantomeno al 2014, quando c’era stato il precedente referendum, non riconosciuto dal Tribunale Costituzionale. In quel caso le autorità nazionali lasciarono correre. Con l’insediamento del nuovo governo Rajoy la situazione è precipitata. Una riforma della Costituzione o dello Statuto catalano doveva percorrersi nei mesi scorsi, adesso trovo difficile una soluzione politica.

Non crede che le elezioni del 21 dicembre fissate da Rajoy siano un modo di mettere la polvere sotto il tappeto? Davvero se vincono gli indipendentisti Madrid accetterà la secessione della Catalogna?

In linea teorica non cambierà nulla. Sarebbe invece auspicabile avviare, ancora prima delle elezioni, una modifica dell’articolo 2 della Costituzione, che sancisce la natura indissolubile della Spagna, magari attraverso la procedura complessa, mai utilizzata, dell’art. 168. La Costituzione del 1978 è stata modificata solo due volte, l’ultima delle quali in modo piuttosto restrittivo per l’autonomia finanziaria delle comunità. Per pacificare questo clima di tensioni in Spagna si potrebbe avviare anche una riforma dello statuto catalano, che viene approvato con legge organica dal parlamento nazionale.

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