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Biotestamento, la sparata di Matteo Salvini e i rischi per la sinistra

Le tematiche sul fine vita sono molto importanti e esigerebbero, per la loro delicatezza, che la politica se ne occupasse il meno possibile, affidandole ai liberi rapporti etici individuali, e anche nel modo più soft e rispettoso possibile.

Ora è vero che non si può a chiedere a Matteo Salvini di avere la sensibilità che non ha, ma con la sua affermazione di ieri, rozza più che choc come titolano i giornali, mi sembra che abbia sollevato un problema serio. La sinistra invoca infatti a gran voce, su questo tema e sullo Ius soli, una legge purchessia ma rapida per un problema tutto interno: non di “civiltà, come dice il Cretino Collettivo, ma di identità.

Per chi proviene da tradizioni culturali e politiche basate su identità forti, questo tema è fondamentale: prima di tutto per riconoscersi, per sentirsi come appartenenti a uno stesso campo. Un’esistenza che chi ha una concezione più laica e disincantata della politica non sente più di tanto. Che questo poi oggi significhi riconoscersi fra pochi militanti o politici di professione, che cioè non porti nessun voto aggiuntivo e rischi anzi di farne perdere qualcuno, diventa, per chi ha ancora una concezione forte e non pragmatica della politica, del tutto secondario.

Quando Renzi sposta il discorso dai contenuti alla metapolitica, arrivando addottora a proporre una rapida e illiberale legge contro non ben definite fake news, o quando tutti insistono su biotestamento e ius soli e ne fanno una questione prioritaria e di vita o di morte, ciò significa una cosa precisa. E cioè che sui contenuti e su cose più concrete, “cose di sinistra”, è difficile per la sinistra oggi muoversi.

Perché realizzare certi obiettivi classici sarebbe impossibile, dati i vincoli economici e la situazione di fatto, e sarebbe anche divisivo. I temi e metatemi scelti su cui tanto si battaglia sembrano mettere d’accordo tutti a sinistra. Ma quei tutti sono sempre più solo i leader di una piccola enclave lontana dai problemi e dai sentimenti dei più.

Per la sinistra il rischio vero, o la fortuna per chi crede che tutto sommato sia giusto finire di uscire dal Novecento, è l’inessenzialità. Ce ne è ancora bisogno in un mondo che sembra guardare altrove e i cui conflitti, duri come quelli di un tempo, si muovono lungo faglie nuove e non sempre identificabili?

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