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Il dipartimento di Stato Usa sconsiglia di viaggiare in Arabia Saudita (e fa spin per Riad)

Mercoledì il dipartimento di Stato americano ha avvisato ufficialmente i propri cittadini di “considerare i rischi” nel viaggiare in Arabia Saudita. Si tratta di un avvertimento importante, perché Washington sta ricostruendo l’alleanza con Riad e sta fornendo copertura a un’attività di politica estera molto aggressiva che parte dal regno su spinta del futuro erede al trono Mohammed bin Salman e che ha come obiettivo il contrasto all’Iran. Foggy Bottom mette in allerta i suoi concittadini con un richiamo esplicito: chiede di fare attenzione a proposito di un episodio specifico, il missile abbattuto dai sauditi sopra il cielo dell’aeroporto internazionale di Riad e partito dallo Yemen.

LO SPIN ANTI-IRAN

Ci sono due aspetti da sottolineare dietro a questa dichiarazione. Primo: il missile è stato lanciato dai ribelli Houthi che hanno rovesciato il governo filo-saudita di Sanaa e contro cui Riad ha lanciato una campagna militare infruttuosa nel 2015. Secondo le intelligence saudite quel missile è stato portato sul suolo yemenita dall’Iran e lanciato attraverso la consulenza di uomini di Teheran (forse Hezbollah). Anche collegandosi a questo episodio, Riad ha alzato i toni del confronto contro l’Iran, un confronto che Washington supporta e sponsorizza, e dunque l’avviso del dipartimento di Stato avalla la criticità regionale: l’Iran è un pericolo, dice Riad, e Washington annuisce. Comma al primo punto: gli americani ufficialmente non partecipano a questa campagna yemenita guidata dai sauditi, ma oltre a essere alleati di quasi tutte le nazioni che ne sono coinvolte (per esempio: Emirati, Egitto), forniscono gli armamenti e spesso informazioni di intelligence. La campagna è molto criticata dagli organismi umanitari internazionali perché ha prodotto molte vittime civile: i sauditi hanno armi tecnologiche, ma hanno poca esperienza nell’usarle, e spesso sbagliano; inoltre non ci vanno troppo per il sottile, visto che dopo due anni infruttuosi subentra anche la frustrazione. Quando Washington avvisa i suoi cittadini dei rischi del viaggiare in Arabia Saudita perché potrebbe cadergli in testa un missile dallo Yemen, giustifica quel coinvolgimento velato nella campagna di liberazione di Sanaa.

LE ARMI

Secondo: gli Stati Uniti stanno cercando di vendere altre armi ai sauditi: la chiave è sempre il contrasto strategico all’Iran. Da poco il regno ha scelto di acquistare sistemi S-400 russi, il top della gamma di Mosca in ambito di difesa aerea, mentre utilizza già per lo stesso scopo il Thaad americano; c’è del business insomma. Riad potrebbe ricevere e breve 7 miliardi di dollari di bombe e missili di precisione (saranno usati in Yemen, e sono anche una risposta a quelle denunce di cui si parlava poche righe sopra). Saranno vendute da Raytheon e Boeing, due delle aziende americane che avevano chiuso accordi nell’ambito dei 110 miliardi di contratti che il presidente americano s’era portato a casa a maggio, dopo la sua visita nella capitale saudita; contratti che politicamente sono stati fatti passare sotto il marchio “America First”, perché garantiscono lavoro alle aziende americane. Il dipartimento di Stato, che supervisiona questo genere di affari, ha già dato il suo avallo; sul Congresso restano dubbi, visto il clima non idilliaco tra la Casa Bianca e il Senato. Il 5 novembre, qualche ora dopo che quel missile yemenita era stato intercettato, il presidente americano Donald Trump ha chiamato re Salman e gli ha comunicato che lui “sosterrà” personalmente la volontà saudita di acquistare nuove armi per contrastare l’Iran.

(Foto: Flickr, State Department)

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