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Il Don Chisciotte inaugura la stagione del balletto del teatro dell’Opera di Roma

Grande serata il 15 novembre al Teatro dell’Opera di Roma; sala, palchi, balconata e galleria strapieni. Eleganza. Qualche smoking. Si inaugurava la stagione di balletto: sei grandi balletti ed in aggiunta numerosi spettacoli per le scuole e per i giovani.

Per l’inaugurazione è stato scelto un titolo apparso spesso nelle ultime stagioni, Don Chisciotte di Ludwig Minkus, ma con un allestimento ed una coreografia mai visti in Italia. In sala il sindaco della Capitale Virginia Raggi ed il grande ballerino e coreografo Mikhail Baryshnikov, (in foto), che sta per varcare la soglia dei 70 anni ma è ancora aitante come un giovanotto. Baryshnikov è anche un simbolo di libertà; nel 1974, durante una tournée del Teatro Bolshoi in Canada, chiese asilo politico e, successivamente, si naturalizzò americano e divenne una star del balletto e del cinema Usa.

Don Chisciotte ha una storia particolare. Appartiene al genere tardo romantico (la prima è del 1870, ma la versione corrente risale al 1871. Lo ideò Marius Petita, che allora faceva il bello e il cattivo tempo in materia di danza nei Teatri Imperiali della Russia zarista. Petita lo coreografò con Alexander Gorgsky. La musica venne commissionata a Minkus, il quale nato in quella che ora è la Repubblica Ceca ma allora era parte dell’Impero austro-ungarico, giunse da bambino a Vienna e diventò uno dei musicisti di corte a San Pietroburgo dal 1869 al 1891 quando rientrò a Vienna, dove, ormai anziano, ebbe scarsa fortuna professionale e morì in povertà perché il governo rivoluzionario sovietico gli tolse la pensione. I suoi balletti, numerosi, sono sempre stati in repertorio nell’Urss, ma non arrivarono in Occidente che quando nel 1961, all’aeroporto parigino di Le Bouget, Rudolf Nureyev chiese asilo politico. In effetti, il gran pas de deux del terzo atto era noto perché George Balanchine, nato a San Pietroburgo ma scappato in Occidente giovane, lo aveva incluso nel repertorio del New York City Ballet.

Oggi Don Chisciotte è, con La Bayadère, è uno dei due balletti di Minkus più rappresentati. È nel repertorio del Royal Ballet e del Teatro alla Scala nella versione aggiornata da Nureyev e dell’American Ballet Theatre in quella curata da Mickail Barishnikov. Recentemente, Alexey Ratmansky, uno dei coreografi più apprezzati della giovane generazione, ne ha approntato un’edizione modernissima per lo Het National Ballet di Amsterdam. Quindi anche se Minkus resta un compositore eclettico e considerato un mestierante, si tratta di roba fine.

Il Don Chisciotte proposto dal Teatro dell’Opera di Roma è molto differente da quelli del recente passato, basati sulla coreografia di Gorgsky. La coreografia è di Laurent Hilaire che a sua volta si basa su quella di Mikhail Baryshnikov per l’American Ballet Theatre. È molto più dinamica ed atletica di quanto si è visto a Roma da quando il balletto viene rappresentato nella capitale. Incantevole le scene ed i costumi di Vladimir Radunsky e A.J. Wiessbard. Ci portano in mondo di fiaba con colori sgargianti e bei giochi di luci.

Il libretto del balletto ha poco a che vedere con lo spirito del romanzo di Cervantes. Non manca la battaglia contro i mulini a vento, ma l’intreccio (la contrastata storia d’amore dei giovani Kitri e di Basilio, intrecciatata alle rocambolesche avventure di Don Chisciotte e del suo scudiero, Sancho Panza) è essenzialmente un pretesto per giustapporre musica spagnoleggiante con musica neoclassica e ricordi di Vienna. Ed è divertente non melanconico come altri lavori ispirati a Cervantes (tra tutti l’opera di Massenet).

Si alternano tre cast. In quello della sera della prima, il 15 Novembre, eccellenti i due protagonisti, Iana Salenko (nel ruolo di Kitri) e Isaac Hernàndez (il quale ricorda il giovane Baryshnikov). Tutti di altissimo livello, in gran misura grazie al rinnovamento apportato da Eleonora Abbagnato.

In Italia c’è domanda di balletto; solamente a Roma  tre teatri presentano principalmente balletti, spesso su nastro registrato. Al tempo stesso, le fondazioni liriche stanno spesso chiudendo i loro corpi di ballo.

Perché non trasformare il ballo dell’Opera di Roma, che ha ormai superato in qualità quello della scala, la formazione nazionale come il Royal Ballet britannico e l’American Ballet degli Stati Uniti? E dargli anche il compito di mostrare l’eccellenza della danza in altre città?

(Foto ® Yasuko Kagayama)

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