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Effetto Sicilia, ecco come Matteo Renzi con il Rosatellum si autorottamerà

Il voto siciliano ha smentito diversi osservatori che pensavano che nell’isola si sarebbe ricalcato lo scenario possibile del futuro voto nazionale: l’ingovernabilità. Dato che il sistema di voto per l’Ars e quello per il Parlamento (entrambi un mix di proporzionale e maggioritario) si assomigliano, qualcuno prospettava l’ipotesi di ingovernabilità e, quindi, la necessità di larghe intese anche sull’isola. Niente di più fasullo: Nello Musumeci ha vinto nettamente e la coalizione di centrodestra sarà perfettamente in grado di governare da sola, come ha fatto subito notare l’ex verdiniano Saverio Romano, che con la sua lista autonomista ha superato il 7% dei voti. Quindi, come sottolinea il politologo (ex finiano) Alessandro Campi sul Messaggero, il voto siciliano allontana la prospettiva delle larghe intese. Questo vale innanzitutto per Pd e Forza Italia: sono Matteo Renzi e Silvio Berlusconi i due personaggi da sempre accusati di tramare contro i rispettivi alleati per unirsi in un possibile Nazareno 2 subito dopo il voto. Intendiamoci, non è detto che con questa legge elettorale ciò non accada, ma l’ipotesi si allontana. Il voto siciliano, infatti, ha premiato ancora i vecchi schieramenti: centrodestra da una parte e centrosinistra dall’altro, con i grillini in mezzo a fare da guastatori e assorbire il voto dei delusi dalla politica. Questo non vuol dire che Berlusconi abbia risolto i problemi interni alla sua coalizione. Ma, come scrive Campi, “gli elettori non capirebbero altre proposte politiche quando il centrodestra unito governo in Lombardia, Veneto, Liguria e ora anche Sicilia”. Schema che vince non si cambia e altri possibili esperimenti rischiano di essere assai pericolosi.

Berlusconi in queste ore gongola perché Forza Italia e centristi vari hanno ottenuto quasi il 30%, mentre Lega e Fdi non raggiungono il 10. Meloni gongola perché rivendica la scelta del candidato: Nello Musumeci è un ex missino poi passato poi dall’esperienza di Alleanza nazionale. Salvini, invece, gongola perché il 5,5% della sua lista in Sicilia è comunque un ottimo risultato per un partito che fino a poco tempo fa sotto il Po racimolava solo decimali.

Chi invece sembra essersi scavato la fossa da solo è Renzi. Il segretario del Pd ha voluto a tutti i costi una legge elettorale che premia le coalizioni e spinge i partiti ad allearsi tra loro. Tutto il contrario di quello che, nella sua ottica di vocazione autonoma del Pd, avrebbe dovuto fare. Il problema, confermato dal voto siciliano, è che ora Renzi dovrà andare in cerca di alleati che, a parte Angelino Alfano (ma vista la sconfitta forse nemmeno lui), col Pd non vogliono allearsi. E, se lo faranno, sarà solo perché costretti, se vogliono avere chance di vittoria. Ma le ferite con gli scissionisti di Mdp sono ancora troppo fresche per arrivare a un accordo politico nel segno della serenità. Renzi però, fa buon viso a cattivo gioco e, anche per uscire dall’assedio di Orlando, Franceschini e Cuperlo, ormai ragiona in termini di coalizione. “Stanno cercando di disarcionarmi, ma non ci riusciranno. Il Pd e i suoi compagni di strada possono arrivare al 40%”, ha detto. Con il 40% che diventa la percentuale da guardare come coalizione, non più come singolo partito. Una bella differenza rispetto al passato. Ma anche se il segretario ci mettesse tutta la buona volontà e facesse un passo indietro sulla premiership lasciando lo scettro a Paolo Gentiloni o Marco Minniti, non è comunque detto che l’alleanza col resto della sinistra si faccia. Sinistra italiana, per esempio, si è già chiamata fuori. Resta Mdp e ciò che gli ruota intorno, a partire da una possibile lista Della Vedova-Bonino e al ruolo che avranno Pisapia e Grasso. Insomma, la sensazione che l’ex premier sia andato a ficcarsi in una trappola perfetta. Che si sia costruito intorno una gabbia da cui sarà difficile uscire, se non con il suolo di comprimario, di attore non protagonista. Berlusconi, che non è stupido, l’ha capito e infatti toglie di mezzo il Pd e annuncia che la sua campagna sarà contro il suo vero competitor: il Movimento 5 Stelle. Stessa tattica seguita dai grillini, tanto che Di Maio ha dato buca al faccia a faccia con Renzi. Solo su un punto Renzi e Berlusconi concordano: le urne al più presto possibile, il 4 marzo. Ma la fretta, spesso, è una cattiva consigliera.

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