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Priti Patel, tutte le ultime tribolazioni ministeriali di Theresa May

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Priti Patel, la ministra per lo Sviluppo internazionale del governo inglese, ha dato le dimissioni per avere mentito al primo ministro Theresa May. Tutta colpa di ben dodici incontri – segreti – avuti con rappresentanti del governo israeliano, lobbisti e uomini di affari. “Violazione del protocollo diplomatico” è l’accusa che l’ha messa alla porta. Cosa che in tempi politici ‘normali’ sarebbe avvenuta ben prima. Pare infatti che la caduta di Priti Patel, astro nascente del Tory, non sia stata una sorpresa per nessuno alla Whitehall.

L’ex ministro per lo Sviluppo non è mai stata vista troppo bene e i rapporti con i colleghi non sono mai stati idilliaci: un po’ per tutti è un personaggio spietato e interessato solo alla carriera. E’ la sua ambizione a precederla ovunque vada. Ambizione che troppo spesso l’ha lasciata nel ridicolo, come quando alla conferenza Tory del mese scorso si è paragonata a Margaret Thatcher. Eppure non era proprio così che Theresa May intendeva liberarsi del suo ministro scomodo. Alla Brexit che non decolla e alle lunghe liste di colpevoli di abusi sessuali non ci voleva che si mettessero pure le verità taciute della Patel. Il governo perde, così, un secondo pezzo dopo Michael Fallon – ministro della Difesa che si è dovuto dimettere per accuse di molestie sessuali. Ma il caso Priti Patel è, se vogliamo, più delicato ancora perché mina alle radici la credibilità della May presa in giro per mesi.

Sono giorni che la stampa inglese diffonde informazioni sugli incontri sottobanco organizzati dalla Patel. Senza le autorizzazioni del governo o in assenza di resoconti formali è emerso che, per esempio, ad agosto l’ex ministra avesse incontrato persino Netanyahu. E ad altri incontri, tutti in Israele, spesso si sia fatta accompagnare dal famoso lobbista Lord Polak. La Patel aveva sempre dato informazioni discordanti sui quei viaggi. Al Guardian aveva spiegato di aver avvisato personalmente Boris Johnson e di aver ricevuto anche indicazioni da altri funzionari. Ma, tempo una settimana, la versione era già stata cambiata dicendo che, in realtà, nessuno era stato informato, e ammettendo, poi, che gli incontri erano stati oltre una decina e che avevano coinvolto funzionari e affaristi israeliani.

Non si riesce a capire, comunque, il vero perché del tenere all’oscuro l’ufficio della May. Sta di fatto che ieri Priti Patel è stata convocata dal primo ministro con urgenza, interrompendo, così, bruscamente il suo viaggio in Africa. Al numero 10 le hanno concesso circa sei minuti al termine dei quali è stata subito confermata la notizia delle sue dimissioni. Ma la May l’avrebbe licenziata prima se non avesse dovuto cercare di salvare in primis la sua credibilità. Ad ogni modo si tratta di dimissioni che da un lato riaprono il dibattito nel governo sull’opportunità di mantenere il ministero degli Esteri e dello Sviluppo internazionale separati, dall’altro rendono sempre più necessario un rimpasto di governo.

Quanto questa vicenda influenzerà la Brexit non lo possiamo ancora sapere, ma è chiaro che, adesso, agli occhi di Bruxelles, Theresa May è più fragile che mai.

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