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Tutti i dettagli sull’incontro fra il cardinale Rai e il principe bin Salman

pozzi sauditi

Croce al collo ben visibile, il patriarca della Chiesa maronita, cardinale Beshara Rai, ha incontrato ieri il monarca saudita Salman, (in foto). “Non avrei mai pensato che un giorno sarei venuto qui”, ha detto il prelato giustamente convinto della portata storica di questo suo viaggio, primo nella storia da parte di un così alto esponente ecclesiale. La sua visita apre un’opportunità storica, quella di fare memoria del cristianesimo che storicamente è stato in Arabia Saudita, dai tempi lontanissimi del monofisiti, dei malabresi o dei malankaresi, oggi presenti nello Sri Lanka e tornati dopo tanti secoli proprio in Arabia Saudita, per via dei tanti lavoratori immigrati nel regno. Ma a loro, come a tanti altri, oggi non è consentito avere luoghi di culto, e la croce pettorale del cardinale Beshara Rai ben visibile nelle fotografie che lo ritraggono a Riad autorizzano a sperare in un futuro diverso.

Per il dialogo tra culture e religioni è dunque un giorno di oggettiva importanza, ma ancor di più lo è se si tiene conto che il patriarca nella giornata di ieri ha incontrato anche il primo ministro dimissionario del suo Libano, Saad Hariri. Il problema che Hariri ha posto con le sue dimissioni va visto e capito più nel sostanza che nella forma, oggettivamente anomala: è questo il senso emerso dalle prime dichiarazioni di Beshara Rai che si è detto “convinto” delle ragioni che hanno indotto Hariri a dimettersi e sicuro che presto “il presidente Aoun, Hariri e Hezbollah dovrebbero incontrarsi e parlarne”.

È un dialogo nazionale sulla questione del controllo delle armi di Hezbollah quello che indica il patriarca? Sebbene non lo abbia detto espressamente questo appare il senso delle sue parole, visto che proprio questo è stato il motivo delle dimissioni di Hariri da primo ministro, stante la sua incapacità di superare l’evidente contraddizione tra la neutralità ufficialmente annunciata dall’esecutivo libanese, del quale fa parte anche Hezbollah, nel conflitto siriano e il coinvolgimento diretto e ingentissimo della milizia del Partito di Dio nel conflitto.

Le parole del patriarca maronita ridanno un ruolo non solo libanese ma anche regionale alla comunità maronita, slittata verso il campo filo-iraniano con l’elezione alla presidenza della Repubblica del Libano dell’ex generale Aoun, alleato fidato e fedele di Hezbollah. Alla ricerca disperata di un mediatore onesto e credibile, il Medio Oriente arabo sembra così cercarlo nella Chiesa, e che a Beirut nel suo leader maronita ha resistito ai tentativi del capo dello Stato di convincerlo a non recarsi a Riad. Il silenzio che in queste ore accompagna le  prime dichiarazioni del patriarca da parte del partito dell’ex generale Aoun e di Hezbollah conferma la delicatezza e la valenza del suo sforzo per salvare le ragioni e il senso stesso del suo Paese, che o significa “vivere insieme” o scivola nel conflitto e quindi nella perdita di senso. Ma la croce al collo con cui i fotografi lo hanno immortalato a Riad dice della portata storica di questo incontro: l’epoca tetragona e chiusa all’altro è finita, non può non finire anche a Riad. Il dialogo portato nel cuore dello stato che si unisce ancora oggi all’oscurantismo wahhabita parla chiaro, e i simboli parlano forte. Una croce esibita a Riad non si era mai vista, gli uomini forti, vecchi e nuovi, di Riad lo sanno benissimo e non potranno che fare i conti con le conseguenze delle loro scelte. Il progetto di Islam “moderato” di cui ha parlato con scarse conseguenze pratiche sin qui il giovane il principe ereditario Mohammad bin Salman non può sottrarsi alle conseguenze di questa scelta storica. Averla compiuta può aprire nuova scenari, come la scelta del patriarca di imbarcarsi alla volta di Riad.

Ora il Libano attende il ritorno di Hariri. “Entro due giorni”, avrebbe assicurato lui dopo il colloquio con l’illustre connazionale. Se i tempi saranno rispettati non lo sappiamo, non possiamo saperlo, la puntualità non è il cuore della cultura del Levante. Ma che una discussione vera, aperta, sulle armi di Hezbollah e la sovranità del Paese dei Cedri sulla sua politica estera sia la vera chiave per uscire dalla crisi e costruire un diverso futuro per il Libano oggi sembra chiaro, o più chiaro, anche grazie alla storica visita del patriarca Beshara Rai. I falchi degli opposti accampamenti, per un giorno, non hanno avuto la meglio: il dialogo tra culture, per un giorno, ha mostrato la sua forza, che non piega l’altro,  lo aggiorna. Ma che un Paese abbia il diritto a sapere chi usa le armi sul suo terreno e come intenda farlo, soprattutto ricordano l’assassinio di Rafiq Hariri e l’occupazione di Beirut del 2008, appare indiscutibile.

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