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Cosa può fare il Vaticano in Libano dopo le dimissioni di Hariri

Una dimenticanza, un piccolo vuoto legislativo. Sta qui la chiave che ha consegnato il Libano ad Hezbollah. L’assetto istituzionale del Paese dei cedri prevede due Camere. Una alta, eletta su base comunitaria e vincolata al 50% di eletti musulmani e al 50% cristiana, la grande novità istituzionale che rasserena tutte le comunità e consente al Paese dei prefigurare un modello di democrazia non egemonizzato dal alcun settarismo. L’altra Camera, quella da eleggere con voto partitico e quindi non confessionale, non è mai stata insediata per il rifiuto dell’ex potenza colonizzatrice, la Siria di Assad. Questo brillante accordo degli anni Novanta, boicottato dall’inizio dagli Assad, prevede inoltre che il presidente della Repubblica poi spetti di diritto ai maroniti e che per eleggerlo occorrano ai primi tre scrutini i 2/3 dei consensi in Parlamento, poi la maggioranza semplice. Non è previsto che si tratti dei 2/3 dei presenti, nella certezza che tutti i deputati sarebbero intervenuti a un voto così importante.

Per imporre il loro uomo nel palazzo presidenziale Hezbollah ha disertato per anni il primo scrutinio, impedendo di fatto l’elezione del Capo dello Stato: “O accettate il mio uomo o il paese rimarrà bloccato, il Parlamento decadrà, sarà il vuoto istituzionale”. Il calcolo di Hezbollah ha prodotto il risultato atteso, e la maggioranza parlamentare ha accettato la presidenza dell’ex generale Aoun. In cambio ha ottenuto che Saad Hariri tornasse alla guida di un esecutivo di unità nazionale in cui Hezbollah e Aoun controllano i posti chiave.

Dopo aver retto per quasi sette anni alla tormenta siriana che ne lambisce i confini, arrivando a ospitare quasi due milioni di rifugiati siriani con una popolazione locale di appena quattro milioni di persone, il Libano ora cede. Le dimissioni di Hariri, che ha fatto capire di sapere che un attentato contro di lui era in preparazione come fu nel 2005 per suo padre, hanno gettato il Paese nel caos. Aoun non accetterà le dimissioni fin quando Hariri non rientrerà dall’Arabia Saudita, dove è fuggito e da dove ha annunciato le sue dimissioni. La mossa di Hariri appare disperata.

Punta lui ora sulla paralisi del Libano caduto in mano agli alleati di Tehran per via di quel “vuoto legislativo” che ha consentito a Nasrallah e ai suoi alleati di prendere tutto senza la maggioranza degli eletti e dei voti. L’unico Paese mediorientale dove si era faticosamente trovato un sistema che consentisse una democrazia consensuale, inclusiva, e non confessionale, rischia di essere travolto. Nel disegno dei falchi di Tehran la conquista di Beirut è da sempre la prima linea, la conquista dell’approdo dell’ “impero persiano” ora khomeinista sulle coste del Mediterraneo. Se accadesse il futuro della civiltà del vivere insieme nel Levante sarebbe la prima vittima, il sogno di costruire il concetto di cittadinanza nel mondo arabo ucciso dal neo imperialismo dei Pasdaran. Gravissimo, in particolare per i cristiani del Medio Oriente, per i quali si tornerebbe indietro di oltre un secolo, al tempo in cui erano cittadini di serie B del Sultano.

Cosa rimane? Una Yalta per il Medio Oriente? E’ ancora possibile? C’è la volontà politica? C’è chi sarebbe capace di immaginare e gestire un evento del genere? Forse soltanto il Vaticano di Papa Francesco e del cardinale Parolin: forse…

La mossa disperata di Hariri, ignara del fatto che lanciare il sasso dall’estero non è mai un bel vedere, ci impone però di capire che o si agisce ora o sarà davvero troppo tardi, per tutti.

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