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Sauditi ed emiratini formalizzano la cooperazione contro l’Iran

Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti hanno formalizzato martedì la formazione di una nuova alleanza politico-militare (ma anche economico, commerciale e culturale). L’annuncio è arrivato durante la trentottesima riunione del Consiglio di Cooperazione del Golfo (acronimo inglese: Gcc), l’organismo internazionale creato nel 1981 per accomunare politicamente ed economicamente gli Stati arabi del golfo Persico (Bahrein, Qatar, Kuwait, Oman, oltre che sauditi ed emiratini).

LA MOSSA…

La decisione di Riad e Abu Dhabi è arrivata contemporaneamente al vertice e ne ha comportato la chiusura a poche ore dall’inizio dei lavori. Il meeting sarebbe dovuto durare due giorni, ed era stato costruito diplomaticamente dal Kuwait, che da mesi sta cercando di mediare la crisi innescata da sauditi ed emiratini a inizio giugno, quando presero la decisione unilaterale di isolare il Qatar (via terra, via mare e via cielo), accusandolo formalmente di sostenere il terrorismo e punendolo per aver costruito relazioni stabili con l’Iran (anche se in realtà Doha e Teheran si parlano perché condividono geograficamente il più grande reservoir di gas naturale del mondo, il South Pars, che taglia il Persico). Quello di martedì era il primo summit in cui tutti gli stati membri avevano inviato emissari, aspetto che era sembrato un potenziale indizio verso una de-escalation, e invece.

… ANTI IRAN

Sotto quest’ottica appare evidente come la decisione di creare un’alleanza laterale al Gcc – che entro breve tempo potrebbe portarsi dietro paesi satelliti sauditi, come il Bahrein – sia una delle tante mosse anti-Iran che segnano questo periodo. Da Riad Mohammed bin Salman (MbS), e da Abu Dhabi il suo omologo Mohammed bin Zayed (MbZ), hanno da mesi alzato il livello del confronto con Teheran. La postura assunta dai due paesi ha più ragioni politiche che ideologico-religiose, anche se trova terreno fertile nelle divisioni tra i regni sunniti e la repubblica sciita, soprattutto quando si tratta di doverla spingere a livello propagandistico tra i cittadini. Questo livello di scontro sfiora il piano militare e passa dalla definizione del futuro della Sira alla guerra in Yemen, ha toccato il Libano con la vicenda delle dimissioni del primo ministro, e permea la crisi qatarina. La guerra yemenita, dove Arabia ed Emirati sono i principali attori coinvolti contro i ribelli Houthi (vicini all’Iran), è il piano in cui si è giocato di più quel coordinamento, finora informale, dal punto di vista militare: l’isolamento qatarino ne è il corrispettivo diplomatico.

GLI APPOGGI ESTERNI

Il nuovo blocco politico è stato annunciato ufficialmente dal ministero degli Esteri emiratino – la leadership di MbZ è stata segnata da sempre da una politica estera ancora più aggressiva nei confronti dell’Iran – e arriva senza troppo stupore come formalizzazione di una realtà già evidente da tempo: Riad e Abu Dhabi dirigo le politiche del Golfo, e in questo momento stanno sintetizzando attorno a loro tutte le posizioni anti-iraniane possibili. Per primo quelle americane: l’amministrazione Trump è notoriamente avversa all’Iran – e le cose potrebbero acuirsi se il posto di segretario di Stato dovesse finire per essere occupato dal falco Mike Pompeo. Inoltre, Jared Kushner, il genero del presidente a cui è stato affidato anche il ruolo di consigliare la Casa Bianca sulla questione israelo-palestinese, ha costruito ottime relazioni con le corti saudite ed emiratine. Sulla linea s’accoda anche Israele: lo stato ebraico vede l’Iran come una minaccia costante, che a volte si concretizza con i gruppi armati che permeano il teatro palestinese e che hanno link con Teheran (vedi Hamas), altre volte sotto forma di attori esterni aggressivi come i paramilitari filo-iraniani di Hezbollah, dal Libano.

E LA SITUAZIONE IN ISRAELE

In questi giorni le dinamiche si sommano: la decisione del presidente americano di riconoscere Gerusalemme come capitale unica di Israele, e l’annuncio di volerci spostare l’ambasciata statunitense, sebbene siano aspetti intrisi di retorica – la legge che indica lo spostamento del corpo diplomatico da Tel Aviv è in piedi dal 1995, ma è sempre stata rimandata – potrebbero essere un elemento di disturbo. Riad, e Abu Dhabi, hanno da sempre assunto la linea pro-palestinese, ma i rapporti diplomatici formalmente interrotti con Israele si sono ricostruiti in questi ultimi mesi proprio in chiave anti-Iran, in una sorta di comunione di intenti e strategici avvicinamenti, spesso informali. Sauditi ed emiratini potrebbero essere stati spiazzati dalla mossa di Donald Trump, che potrebbe essere usata dal Qatar (e dalla Turchia) in chiave anti-saudita. I rapporti con Israele sono questione delicata, gli israeliani dicono che i più in imbarazzo sono gli arabi: per esempio, a una domanda specifica durante un’intervista col Corsera, il ministro degli Esteri saudita “ha negato che sauditi e israeliani abbiano sviluppato contatti, anche in virtù della comune minaccia” (figurarsi un consenso tacito sullo spostamento dell’ambasciata americana, una mossa così simbolica sul conflitto israelo-palestinese).

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