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Perché anche Theresa May ha criticato la mossa di Trump su Gerusalemme

Theresa May

Il trasferimento dell’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, capitale d’Israele, è una decisione del Congresso degli Stati Uniti votata ben ventitré anni fa. I presidenti che si sono succeduti nel corso degli anni hanno preferito sempre derogare all’impegno per ragioni diplomatiche. E non scriviamo niente di nuovo aggiungendo, poi, che l’amministrazione Trump ha voluto ignorare queste ragioni firmando un gesto che è simbolico e potente allo stesso tempo.

Le reazioni del mondo occidentale e di quello islamico non si sono fatte attendere: naturale conseguenza di un atavico odio antisraeliano. Ma che persino una come Theresa May avrebbe lanciato in pasto alla stampa il suo comunicato piccato e infastidito contro il presidente Trump, nessuno se lo sarebbe aspettato. “Vorrei parlarne anche direttamente con Trump di questo”, ha detto, “ma comunque la nostra posizione non è cambiata”. Aggiungendo che “lo status di Gerusalemme dovrebbe essere determinato in una soluzione negoziata tra israeliani e palestinesi. Gerusalemme dovrebbe infine costituire una capitale condivisa tra israeliani e palestinesi”.

Una dichiarazione che sta lì a prolungare gli attriti diplomatici accentuati dal tweet della scorsa settimana del presidente Usa, quando aveva condiviso un video sulla violenza islamica in Gran Bretagna, e per il quale era intervenuta la stessa May, innervosita da contenuti, che, “non fanno che alimentare narrazioni odiose che vendono bugie e alimentano tensioni”. Che il punto di vista di May su Israele stesse in qualche modo cambiando, lo si è iniziato a capire già quando il mese scorso ha costretto alle dimissioni l’ex segretario per lo sviluppo internazionale. La signora Priti Patel aveva incontrato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu senza informare gli uffici di competenza e questo ha fatto saltare la poltrona. Ma la reazione venne giudicata ‘anti-israeliana’ dalla stessa stampa di Gerusalemme.

E così, che mentre quasi tutto il mondo manifesta contro Trump, la stampa inglese si domanda il perché della posizione del suo primo ministro. Anche perché non ha mostrato visioni diametralmente opposte a quelle del leader laburista Jeremy Corbyn, noto per la sua passione palestinese. “Il riconoscimento di Trump di Gerusalemme come capitale israeliana, incluso il territorio palestinese occupato, è una minaccia spericolata per la pace. Il governo britannico deve condannare questo pericoloso atto e lavorare per una migliore posizione”, ha dichiarato.

Mentre un funzionario di Hamas ha invitato gli stati arabi e islamici a tagliare i legami economici e politici con l’ambasciata Usa ed espellere gli ambasciatori americani al fine di paralizzare la decisione, e il gruppo militante islamista ha avvertito che la decisione del presidente Trump “aprirà le porte dell’inferno” agli interessi degli Stati Uniti in Medio Oriente, anche la Farnesina ha condannato la decisione come “irresponsabile” e ha invitato Washington a riconsiderare la decisione. Ad ogni modo vista da qui, e considerate anche le reazioni violente, la decisione di Trump ha innervosito il mondo occidentale perché ne ha, per certi versi, certificato l’inettitudine dinanzi al processo di pace in Medio Oriente. Se, infatti, l’Unione europea e la Gran Bretagna non sono capaci di una politica mediorentale seria per la costruzione di un po’ di pace, ci ha voluto pensare Trump e questo li ha mortificati. Almeno così dicono in molti.

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