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Cosa va (e cosa non va) nel discorso di Matteo Salvini sull’immigrazione

Berlusconi, atlantismo, biotestamento, ippolito, bipolarismo

Questo fine settimana è stato il momento di Matteo Salvini. Ieri il leader della Lega ha mobilitato le sue truppe in una manifestazione a Roma contro lo Ius Soli. L’occasione è stata utile per iniziare la lunga campagna elettorale, intervenendo un po’ su tutto: dalla Legge Fornero a Matteo Renzi, per finire su alleanze, coalizioni, eccetera.

Sicuramente il punto più rilevante della svolta nazionalista che egli ha dato al suo partito riguarda la politica dell’accoglienza, che, come si sa, lo vede essere un avamposto dei contrari, con l’opposizione netta alla politica di aperture che il centrosinistra cerca di portare avanti su questa materia da anni. Il consenso e la diffusione popolare di queste idee identitarie non permettono di liquidare però la posizione di Salvini con qualche battuta, anche perché in ballo vi sono il futuro del nostro Paese e comunque la vita di migliaia e migliaia di esseri umani.

Perciò, ben oltre l’ideologizzazione delle chiusure a tutti i costi o delle aperture a tutti i costi, vale la pena soffermarsi un momento su alcuni aspetti etici e politici che sono in gioco. Il primo riguarda i flussi migratori. Sappiamo tutti bene che l’arrivo in Europa dei profughi costituisce un dato di fatto. Non è la politica di un solo Paese che può da sé eliminare il fenomeno, ma è il cambiamento di una generale situazione internazionale. Fin quando nei Paesi di partenza vi saranno condizioni di vita impossibili, causa guerra, razzismo e persecuzioni, e fin quando la povertà sarà miseria per milioni di esseri umani, continueranno ad esserci puntualmente spostamenti migratori dal Sud e dall’Est del mondo verso il Nord e l’Ovest.

Accogliere, in questo senso, non costituisce una scelta ma una necessità umanitaria. Non si può discutere, comunque la si pensi, su questo valore supremo.
Ben diverso è, invece, il ragionamento sulla relativa gestione degli arrivi, sul modo peculiare con cui l’Italia intende farsi carico o non carico della realtà effettiva delle persone presenti, e sulla modalità con cui saremo in condizione di coinvolgere negli aiuti altri partners continentali e non. Qui, infatti, è la politica nazionale che entra in gioco, la visione che si vuole avere e si vuole dare dell’Europa, il modo in cui s’intende difendere e promuovere la propria identità comunitaria nel mondo, non a danno ma a vantaggio di tutti gli italiani.

Il consenso che trova il discorso di Salvini non sta nelle modalità in cui egli dice quello che dice, ma nella sostanza parziale di alcune argomentazioni. Fino ad oggi il nostro Paese ha riflettuto sempre contrapponendo due facce della medaglia, non sapendo proporre insieme disponibilità all’accoglienza e tutela della cittadinanza italiana. Salvini propone un solo corno della dualità, quando invece bisogna sostenerli entrambi.

A ben vedere la legge sullo Ius Soli si arena continuamente in Parlamento perché ritenere che allargare la cittadinanza sia di per sé condizione di integrazione e soluzione al problema dell’emarginazione sociale degli stranieri non è per nulla vero. La forza del discorso che la destra enuclea contro la concessione del diritto di suolo come cittadinanza riguarda esattamente la definizione di cosa s’intende per cittadino rispetto a straniero. In un Paese democratico e civile, oltre che generoso, com’è il nostro, è chiaro che l’esclusione dall’essere italiano riguarda unicamente la partecipazione politica ai diritti e doveri di sovranità: in uno Stato democratico, infatti, è sovrano il popolo e non l’umanità, e il popolo sono per l’appunto i suoi cittadini. Essere cittadino non tocca, quindi, per nulla i diritti umani naturali delle persone nel territorio, valori questi sì indipendenti dagli specifici diritti e doveri di appartenenza di un cittadino ad uno Stato.

Si può vivere, infatti, in Italia senza essere cittadini italiani, con ciò non perdendo in nessun modo i diritti umani fondamentali che sono riconosciuti a tutti gli esseri umani semplicemente perché sono umani, in tutti gli articoli della nostra Costituzione. Insomma, si deve stare attenti a non trasformare la valoriale difesa dell’identità nazionale in una politica di riduzione dei diritti umani, ma neanche pensare che queste due realtà siano identiche, e che essere italiani possa diventare una prerogativa automatica per avere diritti che non sono garantiti oggi neanche a molti italiani.

Un esempio può valere per tutti: i cittadini tedeschi, durante il nazismo, erano formalmente sovrani e tedeschi, ma di fatto privati totalmente di diritti personali e umani fondamentali. La stessa cosa è avvenuta e avviene sotto dittature come quelle comuniste o sotto analoghe forme autoritarie estreme di Governo. La salvaguardia dei diritti umani nel loro complesso è indissociabile dal riconoscimento etico universale dell’essere persona e dalla connessa valorizzazione specifica dei singoli popoli come identità particolari, fondate su storia, lingua e tradizione. Non è demolendo questo collante spirituale e materiale caratteristico che si fa crescere i diritti universali, anche perché il multiculturalismo è un modello di relativizzazione etica delle identità che produce soltanto ghettizzazione, conflittualità e terrorismo.

La legge, insomma, non può sostituire il tempo. Ed essere cittadini richiede tempo e non solo volontà di accoglienza. Questo discorso è giusto, come giusto è lavorare sulla natalità interna, piuttosto che regalare ad altri popoli la propria nazionalità. Ad essere inaccettabile, viceversa, è la radicalità con cui dalla Lega sostiene queste cose trasformandole spesso in strali e invettive, quasi si trattasse di trovare un colpevole per garantirsi una certezza che non c’è. Un popolo come quello italiano può conservare la sua essenza soltanto se riesce a coniugare il senso della propria nazione con la generosità della propria natura, senza mescolare o disperdere l’essenza di questi due principi l’uno nell’altro o l’uno contro l’altro.

Anche in questo caso, infatti, la destra dice cose giuste in modo spesso sbagliato, quando si tratterebbe di dire invece cose giuste in modo giusto, corretto, senza volgarità e senza dover necessariamente sopperire alla mancanza di argomenti moderati, ponderati e decisi in direzione conservatrice con recrudescenze nazionaliste che sono inconcludenti, pericolose e oltretutto impossibili da trasformare in buone politiche di governo.

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