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Opportunità e sfide dopo la crisi del gas

North Stream, gas

La crisi è la migliore benedizione che può arrivare a persone e nazioni, perché la crisi porta progressi“, scriveva Albert Einstein nel 1955.  Fortunatamente, Il ministro Carlo Calenda ci ha rassicurato che questa volta non siamo in crisi ma solo temporaneamente in stato di emergenza.

Prendiamo spunto dal grave incidente che ha bloccato il terminale del gasdotto Gasdotto Trans Austria Gas a Baumgarten per riflettere sulla situazione degli approvvigionamenti del gas italiano.

Secondo gli ultimi dati Eni, l’Italia nel 2016 ha prodotto 5,7 miliardi di m3 (il 15% in meno dell’anno precedente) di gas naturale e ne ha consumati 69 miliardi di m3 (il 5% in più). Il bilancio con l’estero vede l’importazione di 64 miliardi di m3 (+7%) a fronte dell’esportazione di soli 210 milioni di m3 (-4%). La differenza è data dall’uso delle riserve sotterranee.

Per soddisfare la domanda di metano, l’Italia può contare su otto canali di acquisto all’estero. Cinque di questi sono i metanodotti che entrano nello stivale da Tarvisio (dalla Russia), Gorizia (dalla Russia), Passo Gries sopra Verbania (da Olanda e Norvegia), Marzara del Vallo (dall’Algeria) e Gela (dalla Libia). A questi si aggiungono i tre rigassificatori di Gas Naturale Liquefatto (GNL) che si trovano a Panigaglia, Livorno e Cavarzere presso Rovigo. Questi ultimi possono accettare navi metaniere provenienti da tutto il mondo. A differenza del gas naturale, che può essere trasportato economicamente solo nei gasdotti, il GNL è compresso oltre 600 volte, può viaggiare su apposite navi metaniere e può essere acquistato sul mercato mondiale.

Il gas proveniente dalla Russia passa in Ucraina, Slovacchia, Austria proprio attraverso il TAG bloccato in seguito all’incidente. È un doppio gasdotto parallello di 380 km di proprietà di Eni e dell’austriaca OMV in grado di trasportare 47,5 miliardi di m3 all’anno. Da qui sono passati 24,5 miliardi di m3 solo da gennaio a ottobre di quest’anno. Ben il 42% dei 57,1 miliardi di m3 che abbiamo importato nei primi dieci mesi del 2017.

Per aggirare la zona calda fra Russia e Ucraina, era stato progettato il South Stream sotto al Mar Nero, ma il progetto è stato cancellato nel 2014 a causa delle tensioni fra Europa e Russia. La Libia ci rifornisce con il Greenstream, che arriva a Gela dopo aver percorso 520 km sul fondo del Mediterraneo e gestito da Eni (75%) con la Compagnia Nazionale Libica (25%).

I giacimenti del Mare del Nord forniscono il metano che ci raggiunge a Passo Gries dove si trova il punto di interconnessione con la rete nazionale di Transitgas, il gasdotto che trasporta il gas proveniente da Norvegia e Olanda. Sono 293 km di tubi che servono anche Germania e Svizzera dove si connettono con l’altro gasdotto Trans Europa Naturgas Pipeline, che corre per 500 km dai Paesi Bassi fino alla Svizzera.

In numeri, il 42% del gas consumato in Italia batte bandiera russa, il 18% viene da Norvegia e Olanda, l’11% dall’Algeria, il 10% dalla Libia e il 7% dal mercato mondiale del GNL.

In questi anni, abbiamo visto più gasdotti tracciati sulla carta e presentati al pubblico che tubi veri depositati sul terreno e collegati fra loro. Questo perché la realizzazione di una condotta richiede non solo grandi investimenti e grandi capacità tecniche, ma prima di tutto un accordo stabile e di lungo termine fra un fornitore ed un acquirente, la ragionevole certezza che ciascun governo sia solido e che un eventuale cambio al potere non butti all’aria i contratti stipulati per l’intero periodo di validità concordato, misure di sicurezza per proteggere tutto il percorso delle condotte e i necessari accordi internazionali. Più l’obbligatorio imprimatur della Commissione Europea se una delle firme sull’accordo appartiene ad un Paese membro dell’Unione.

Ecco perché nel mercato del gas diventano critiche le altalene diplomatiche fra la Russia e diversi Stati europei, i problemi interni di ciascuno Stato aggiunti a quelli che possono creare tutti gli altri attraversati dai tubi. Dall’Ucraina, sempre ai ferri corti con la Russia, alla Polonia, terreno di conquista della NATO, alla Turchia, nemica o amica a seconda delle convenienze.

Da parte nostra, oltre a non poter prendere impegni con nessuno sulla stabilità del nostro governo e tantomeno offrire serie garanzie che il prossimo inquilino di Palazzo Chigi non ribalti tutti gli accordi energetici in essere, abbiamo il problema insormontabile di 124 piante di ulivo che sbarrano la strada all’arrivo del gasdotto TAP in Puglia.

È chiaro che, di fronte a tutte queste rogne, la Russia si sia data da fare per aprirsi ad un immenso mercato alternativo come quello rappresentato da un miliardo e mezzo di cinesi e dalla loro industria grazie a Сила Сибири: il Potere della Siberia.

Dopo l’emergenza di ieri – in cui l’interruzione di un solo nodo ha rischiato di mettere in crisi tutta l’infrastruttura – ci si augura che il prossimo governo possa mettere da parte qualche pregiudizio ed affrontare seriamente la questione energia.

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