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Quanto è importante per Trump e per i repubblicani vincere in Alabama

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Oggi si vota per le elezioni suppletive per il seggio al Senato dell’Alabama, rustico stato conservatore degli Stati Uniti sudorientali. La votazione serve a rimpiazzare il posto lasciato scoperto da Jeff Sessions, senatore storico scelto dal presidente Donald Trump per dirigere il dipartimento di Giustizia. Le votazioni in Alabama sono molto importanti sia per questioni politiche e culturali, che per aspetti tecnici. Partendo da questi ultimi: i repubblicani controllano entrambe le camere, ma al Senato hanno una maggioranza di 52 seggi contro i 48 dei democratici; questo significa che se l’Alabama dovesse finire in mano ai Dem, la maggioranza sarebbe di soltanto due seggi (51 a 49), ossia il Partito Repubblicano e Trump si troverebbero davanti grossi problemi di governabilità, visto che già stante la situazione attuale l’amministrazione non è riuscita a concludere i principali progetti annunciati in campagna elettorale, anche perché bloccati dal voto di una manciata di senatori di volta in volta sfavorevoli.

IL PIANO REPUBBLICANO

Ma le elezioni in Alabama hanno anche un significato politico-culturale. Nelle passate settimane se n’è parlato molto, innanzitutto perché alle primarie repubblicane s’è messa in moto – per la prima volta alla luce del sole – quella macchina extra partito guidata dall’ex stratega di Trump, Steve Bannon. Bannon, insieme a un importante finanziatore repubblicano che si chiama Bob Mercer, ha sostenuto fin da subito un candidato molto controverso perché molto radicale nel suo conservatorismo, Roy Moore, che è riuscito a strappare la candidatura e a vincere alle primarie sull’onda di un richiamo molto trumpiano (populistico, estremista, ultra-cristiano, anti-establishment, contro gli immigrati e contro gli omosessuali). Trump alle primarie non ha dato sostegno a Moore formalmente, ma si è schierato con il candidato del partito (dell’establishment, si potrebbe dire); questa scelta era da collegare a una necessità: il presidente, seppur istintivamente più vicino a Moore, non voleva infastidire i politici repubblicani, perché nei giorni delle primarie c’era in ballo una votazione sulla riforma sanitaria, finita comunque male, visto che quattro senatori si erano opposti a prescindere. Adesso Bannon e Mercer si sono divisi, e Moore è balzato ancora di più al centro del dibattito perché, attraverso un’inchiesta del Washington Post, alcune donne lo hanno denunciato di molestie sessuali, e alcune di loro hanno raccontato che ai tempi in cui i fatti successero erano addirittura minorenni.

IL MOMENTO

La candidatura di Moore è per questo un caso culturale: da una parte rappresenta l’andamento della politica conservatrice americana, dove i cittadini scelgono sempre più candidati anti-sistema e molto estremisti nelle loro dichiarazioni e visioni; dall’altra è un’altra storia che si somma al grande tema delle violenze sulle donne, diventate argomento del momento nella scena pubblica americana (e non solo: il movimento Me Too, nato per denunciare le molestie, è stato scelto dal Time come “Person(s) of the Year”, per esempio). Da qui: la candidatura di Moore, con le accuse delle donne scovate dal WaPo, è diventata così controversa che prima il partito, poi Trump, lo avevano quasi dovuto abbandonare, salvo poi fare una specie di marcia indietro, perché, appunto, nonostante tutto il seggio che potrebbe andare a Moore è troppo importante nell’economia del Senato, e dunque del governo.

COSA SIGNIFICA PERDERE

L’8 dicembre, per la prima volta, Trump ha dato aperto sostegno a Moore, chiedendo ai cittadini dell’Alabama di votare per lui e di non votare per il candidato democratico (si chiama Doug Jones e in questa vicenda è poco più di una comparsa, per quanto centrale è tutto quello che ruota attorno ai repubblicani). Ma lo ha fatto via Twitter – “L’ultima cosa di cui l’agenda Make America Great Again ha bisogno è un altro Democratico di sinistra in Senato”, ha scritto – mentre era diretto a Pensacola, in Florida, a pochi chilometri dal confine con l’Alabama, dove non ha messo piede per restare comunque un po’ distante dalle elezioni e non finire per infangarsi con le vicende sulle molestie (in quello stesso giorno la portavoce della Casa Bianca, Sarah Huckabee, ricordava davanti ai microfoni che il presidente ha “alti standard per i valori morali”).

LA GENTE È CON MOORE

Domenica scorso, su “State of the Union” della CNN, il senatore Richard Shelby ha sconsigliato di votare per Moore: Shelby è il più noto politico dell’Alabama, è un repubblicano, ed è colui che detiene il seggio gemello a quello per cui concorre Moore. Questa presa di posizione pubblica indica quanto Moore sia divisivo, ma è anche un segnale di quanto sia polarizzata la situazione politica negli Stati Uniti. Shelby invita a non votare per il candidato del suo partito perché è un estremista e potenziale pedofilo; il partito repubblicano e l’amministrazione nonostante tutto tengono su Moore perché sanno quanto è importante quel seggio; e poi leggono i sondaggi che danno il controverso cowboy dell’Alabama ancora supportato dal 48 per cento dei consensi – tanti sono i repubblicani che lo sceglierebbe pur di non far vincere un democratico, e ora che Shelby, uno dell’establishment storico del partito, ha detto di non votarlo, lo faranno con ancora più convinzione.

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