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La verità su Europa, banche e Grasso. La versione di Vito Crimi (M5S)

Crimi

A pochi giorni dalla chiusura delle Camere per la pausa natalizia, il Parlamento è movimentato da tutto, fuorché da ordinaria amministrazione. La commissione di inchiesta sulle banche è alle prese con una corsa contro il tempo per interrogare quanti più testimoni possibile prima che cali definitivamente il sipario. Dopo le audizioni del presidente della Consob Giuseppe Vegas e del governatore di Bankitalia Ignazio Visco, mercoledì mattina è stato il turno di Federico Ghizzoni, ex n.1 di Unicredit al centro del caso Boschi-De Bortoli. Nel frattempo, al Senato è sfumata l’ultima possibilità di votare la legge sull’abolizione dei vitalizi targata Pd, così come si affievoliscono le chances di vedere approvata la legge sullo Ius Soli prima che finisca la legislatura. “Una vergogna”, ha accusato il vice-presidente del gruppo 5 Stelle al Senato Vito Crimi, di cui abbiamo sondato l’umore a margine dell’incontro al Centro Studi Americani “Think Tank e policy making, Il modello americano e l’esperienza italiana” organizzato da Enel e Formiche.

Vito Crimi, alla fine la legge Richetti sui vitalizi non è stata nemmeno calendarizzata. Un esito prevedibile?

Una cosa vergognosa, soprattutto per la presa in giro. Non sono solo i vitalizi. Anche la class action è stata approvata alla Camera e al Senato non è stata calendarizzata, e così lo ius soli.

Perché, lo ius soli è anche una vostra battaglia?

Non è una battaglia nostra. Ma anche lo ius soli è stato approvato dalla maggioranza e poi il Pd non lo ha calendarizzato in Senato. C’è una miriade di provvedimenti che sono stati affossati allo stesso modo.

Che fine ha fatto la vostra proposta sui vitalizi?

All’origine la nostra proposta era il disegno di legge Lombardi presentato sia al Senato che alla Camera. Era molto più organico e più efficace rispetto alla legge Richetti, che è stata un ripiego necessario. Quando il Pd l’ha tirata fuori dalla tasca abbiamo detto: meglio di niente. E invece mercoledì al Senato in consiglio di presidenza si è discusso del nulla.

Dunque la responsabilità è del presidente del Senato Pietro Grasso?

Anche Grasso ha le sue responsabilità. In qualità di presidente poteva forzare la calendarizzazione dei vitalizi in aula, che invece ora sono fermi in commissione. La settimana scorsa non ha nemmeno permesso all’aula di votare. Eppure più di una volta ha calendarizzato d’imperio un provvedimento.

Mercoledì c’è stata la tanto attesa audizione di Ghizzoni nella commissione sulle banche. Il sottosegretario Boschi  sostiene che la versione dell’ex Ad di Unicredit smentisca le parole di Ferruccio De Bortoli e confermi il suo resoconto.

Quando si parla di banche emerge un quadro desolante. È perfino uscita fuori una mail di Marco Carrai, l’imprenditore fedelissimo di Renzi, che ha cercato di metterlo a capo della cyber-security. Un uomo che assieme ad altre figure, come l’avvocato Bianchi, fa parte di quel cerchio magico di Renzi che invece di curare gli interessi dei cittadini si occupava della “Banca Boschi”.

Ghizzoni però ha ripetuto più volte di non aver ricevuto pressioni né da Marco Carrai né da Maria Elena Boschi.

Quando un ministro parla con un soggetto di quel livello, istituzionale o meno, ogni suo desiderio è un ordine. Peraltro un ministro con un ruolo importante, perché chi ascoltava sapeva di parlare con un braccio destro di Renzi, quasi un alter-ego dell’ex presidente del Consiglio. Faccio un esempio, sperando di non offendere nessuno. Se una donna si ferma davanti a una vetrina e dice: “Che bello quel cappotto”, fa intendere che vorrebbe che quel cappotto le venisse regalato.

Per Renato Brunetta Forza Italia è l’unica forza politica che esce integra dal polverone sulle banche.

Brunetta taccia, per favore. Non voglio ricordare certe sue avventure, magari non sulle banche ma su altre questioni, come i famosi “Capitani coraggiosi”. Gli unici che escono integri siamo noi, che su quella vicenda bancaria non ci abbiamo mai messo il becco e mai vorremmo mettercelo.

Di Maio ha dichiarato che, in caso di una vittoria dei Cinque Stelle, valuterà un’alleanza di governo sulla base dei gruppi parlamentari che si formeranno. Con chi cerchereste un dialogo per primi?

La nostra linea è chiara dal 2013, anche se è stata sempre distorta. Noi mettiamo sul piatto un programma di 20 punti, io la definisco un’offerta pubblica di acquisto (Opa). Dobbiamo superare la logica della poltrona in cambio dell’appoggio a un punto del programma. Noi abbiamo già dimostrato di saper votare i provvedimenti di buon senso senza richiedere qualcosa in cambio. Ci aspettiamo lo stesso dagli altri.

Fra questi punti rientra il referendum per uscire dall’Euro? Di Maio è stato chiaro l’altro giorno su La7: in caso di una consultazione voterebbe per abbandonare l’Eurozona.

Se si arriverà a un referendum, vorrà dire che le avremo provate tutte e saremo arrivati a un punto di rottura.

Quali condizioni porreste per scongiurare il referendum?

Il superamento del Fiscal Compact. Bisogna parificare quel che viene concesso agli altri Paesi rispetto a quanto viene concesso all’Italia. Oggi non appena l’Italia sfora i limiti l’Europa la bacchetta e la Commissione invia le lettere, se lo fa la Germania tutti tacciono. È come se entrambi i Paesi avessero a disposizione una Ferrari, ma la Germania viaggiasse su un’autostrada e l’Italia su una strada sterrata. Non serve a niente battere i pugni sul tavolo: il referendum serve come extrema ratio per far rinsavire qualcuno a Bruxelles.

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